Gestione del Personale nella Ristorazione

Gestione del personale nella ristorazione: tecniche per un team motivato e produttivo

Nel settore della ristorazione, la gestione efficace del personale è fondamentale per il successo di qualsiasi attività. Un team motivato e produttivo non solo garantisce un’esperienza eccellente per i clienti ma contribuisce anche a creare un ambiente di lavoro positivo e stimolante. In questo articolo, esploreremo le migliori pratiche per la gestione delle risorse umane nel settore della ristorazione, offrendo consigli strategici per la formazione e la retention del personale.

1. Assunzione Strategica

La base di un team eccellente risiede nella selezione dei suoi membri. È importante cercare candidati non solo con le competenze tecniche necessarie ma che condividano anche i valori e la visione del tuo ristorante. Utilizzare tecniche di intervista comportamentale può aiutare a identificare candidati che possiedono le qualità interpersonali e la motivazione adatte al tuo ambiente di lavoro.

2. Formazione Continua

La formazione non si ferma dopo l’orientamento iniziale. Investire in programmi di formazione continua è essenziale per mantenere il personale aggiornato sulle ultime tendenze culinarie, tecniche di servizio e normative in materia di sicurezza alimentare. La formazione può assumere varie forme, dall’apprendimento online a seminari sul posto di lavoro, e dovrebbe essere considerata un investimento nel futuro del tuo ristorante.

3. Percorsi di Carriera Chiari

Offrire percorsi di carriera chiari e opportunità di crescita può notevolmente aumentare la motivazione e la produttività del personale. È importante che ogni membro del team sappia come può progredire all’interno dell’organizzazione. La promozione interna non solo migliora la morale ma dimostra anche l’impegno dell’azienda nei confronti dello sviluppo professionale dei suoi dipendenti.

4. Cultura Aziendale Positiva

Una cultura aziendale positiva, che promuova il rispetto reciproco, la collaborazione e l’inclusività, è cruciale per mantenere un ambiente di lavoro motivante. Celebrare i successi, sia grandi che piccoli, e incoraggiare il feedback costruttivo aiutano a costruire un senso di comunità e appartenenza tra il personale.

5. Retribuzione e Benefici Competitivi

Offrire una retribuzione equa e competitiva, insieme a benefici tangibili come flessibilità negli orari, assicurazione sanitaria e possibilità di formazione, è fondamentale per attirare e trattenere talenti di qualità. Anche i piccoli gesti, come pasti gratuiti durante i turni o sconti per il personale, possono avere un grande impatto sulla soddisfazione lavorativa.

6. Feedback Regolare e Comunicazione Aperta

Mantenere linee di comunicazione aperte e fornire feedback regolare sono elementi chiave per una gestione efficace del personale. Incoraggiare il personale a esprimere le proprie idee e preoccupazioni crea un ambiente in cui tutti si sentono ascoltati e valorizzati. Le riunioni regolari del team possono servire come forum per discutere obiettivi, progressi e aree di miglioramento.

7. Work-Life Balance

Riconoscere l’importanza del work-life balance è essenziale per prevenire il burnout e mantenere un team felice e produttivo. Essere flessibili con gli orari di lavoro e promuovere pratiche sane all’interno del ristorante possono fare una grande differenza nella vita dei tuoi dipendenti.

Conclusione

La gestione del personale nel settore della ristorazione richiede un approccio olistico che consideri non solo le esigenze operative dell’attività ma anche il benessere e la soddisfazione dei dipendenti. Implementando queste pratiche, i ristoratori possono costruire team forti e motivati, pronti a offrire un’esperienza eccezionale ai loro clienti. Ricorda: un team felice è la chiave per un ristorante di successo.

maitre

Come diventare cameriere e lavorare nella ristorazione

Quello del cameriere è il mestiere che per molte persone rappresenta il primo passo per una proficua carriera lavorativa nel settore della ristorazione. Ma diventare cameriere a Milano o in altre delle più importanti città italiane, implica la voglia di mettersi in gioco e la consapevolezza del fatto che si tratta di un’attività lavorativa particolarmente impegnativa che, allo sforzo fisico unisce una quotidiana dose di stress. Come diventare un ottimo cameriere a Roma? mostrarsi sempre presentabili è la prima regola per essere assunti e per fare carriera. Dalla pulizia dell’uniforme all’igiene personale, un cameriere professionista deve controllare il proprio aspetto, per dare un’ottima impressione ai clienti con i quali questa professione richiede un’interazione quotidiana.

Per trovare lavoro come cameriere a Napoli o Firenze è bene avere una buona memoria ed imparare il menù in ogni dettaglio, per poter interagire con il cliente dando consigli e ridurre i tempi nel prendere gli ordini; ma anche per conoscere gli ingredienti di ogni portata segnalandolo ai commensali con intolleranze o allergie, o proporre le speciaità del giorno.

Per trovare un’offerta di lavoro come cameriere a Milano, è importante essere in grado di svolgere diverse mansioni, dal trascrivere gli ordini al servire in tavola con garbo e accuratezza, fino al ritiro dei piatti sporchi a pasto terminato; ma anche rispondere alle specifiche esigenze dei clienti nel corso della cena, portando loro bevande, condimenti o dando risposta alle loro diversificate richieste. Ed infine apprendere alcuni trucchi del mestiere, dal domandare ai clienti se gradiscono un antipasto al proporre bevande o drink come aperitivo o a fine pasto, evitando di risultare invadenti.

Diventare cameriere non consiste dunque solo nell’avvio di un lavoretto da portare avanti parallelamente allo studio ma, con la giuste dose di impegno e serietà, può trasformarsi in una vera e propria professione e rivelarsi un’importante e redditizia opportunità di carriera.

ANNUNCI DI LAVORO COME CAMERIERE

Cameriere Roma

Cameriere Milano

Cameirere Siena

L’assaggiatore di olio d’oliva. 7 cose da sapere.

Il vino e l’ olio di oliva sono due prodotti che hanno sempre occupato un posto importante nella nostra storia, sia da un punto di vista culturale, sia da un punto di vista alimentare ed economico.
Nell’antichità erano addirittura considerate merci preziose che circolavano nel mercato dei beni di lusso, prima di diventare di uso comune.
Ma se il vino ha sempre goduto in qualche modo di uno status privilegiato, ed è generalmente legato a un’idea di nobiltà, di antica sapienza e anche ricchezza, l’olio non mai ha goduto di una grande considerazione, relegato per molto tempo a svolgere l’umile ruolo di condimento.
Negli ultimi tempi però, almeno da una decina di anni, si è assistito a uno straordinario recupero di questo prodotto, si è cominciato a studiare nel dettaglio le differenze tra un olio d’oliva e l’altro e a utilizzare parametri specifici per valutarne la qualità. Per naturale conseguenza si è codificata una nuova professione, quella dell’assaggiatore o sommelier di olio, capace di sottoporre l’extravergine di oliva a esami rigorosi e attente degustazioni.
Se volete saperne di più su questo mestiere, prendete nota di questi sette punti:
L’esame dell’olio
Il sommelier di olio durante una degustazione valuta principalmente quattro elementi:
L’aspetto: ovvero il colore dell’olio, che può andare dal giallo-verde al giallo pulcino. Il colore è in realtà un parametro che può essere tralasciato, non è un indicatore di qualità ma serve, in parte, a distinguere le varie tipologie.
L’odore: nel profumo dell’olio si possono rintracciare aromi e tracce di mele, frutta secca, pomodoro o erba.
Il gusto: si analizzano i sapori (fruttato, amaro, piccante) e l’intensità (leggero, medio, forte)
Il tatto: palato e lingua valutano consistenza e struttura dell’olio.

La degustazione
L’olio si degusta all’interno di un bicchierino, generalmente di colore blu e dalla forma a campana. Il bicchierino va coperto con un apposito strumento chiamato “vetro di orologio” che serve a evitare che aromi e profumi si disperdano. Si inclina e si ruota il bicchiere affinché si bagni tutta la superficie interna. Si procede con l’analisi olfattiva inspirando per non più di 30 secondi e successivamente si prende un sorso di olio di circa 3ml, cercando di spargere bene il liquido per tutta la cavità orale. A fine degustazione si espelle l’olio e si deve lasciar trascorrere un lasso di tempo di almeno 15 minuti prima di procedere con l’assaggio successivo. Tra un assaggio e l’altro, poiché si può incorrere nella fatica e nella perdita di sensibilità, è bene mangiare un pezzetto di mela di circa 15g e sciacquare la bocca con acqua a temperatura ambiente.
L’“albo” degli assaggiatori
Chiunque voglia intraprendere la strada della degustazione dell’olio è tenuto a conseguire un attestato che dimostri l’idoneità fisiologica all’assaggio. Il regolamento comunitario CEE 2568/91 stabilisce infatti che gli organi sensoriali umani debbano essere riconosciuti come veri e propri strumenti di misura. Solo se si è ottenuto l’attestato di idoneità fisiologica si può essere inseriti nell’Elenco nazionale dei tecnici ed esperti assaggiatori degli oli di oliva extravergini e vergini, una sorta di albo dove tutti i sommelier di olio devono iscriversi per poter esercitare la professione, dopo aver debitamente provato la propria formazione e la propria esperienza sul campo. L’elenco è tenuto presso il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali e presso le Regioni.
Titoli di studio necessari
Per poter accedere ai corsi di idoneità fisiologica all’assaggio e a quelli per assaggiatori esperti molto spesso vengono richiesti specifici titoli di studio. Tra questi sono principalmente domandati: il diploma di agraria, la laurea in scienze agrarie, laurea in chimica, laurea in biologia.
Un lavoro collettivo
Contrariamente a quanto si possa pensare, il lavoro dell’assaggiatore non è solitario né tantomeno personale. L’obiettivo di un assaggio è arrivare a elaborare una valutazione equilibrata, che può essere ottenuta solo con il confronto, il lavoro in gruppo e lo scambio di opinioni tra professionisti. L’errore più comune in questo tipo di lavoro è infatti quello di far prevalere il proprio personale giudizio.
La più antica scuola di assaggio di olio di oliva
Sebbene l’olio non sia una merce di produzione esclusivamente italiana, il primato relativo alla professione dell’assaggiatore spetta a noi. La più antica scuola di assaggio di olio di oliva del mondo si trova in terra ligure, in particolare a Imperia, patria della nota varietà taggiasca e dove non a caso si trova un museo interamente dedicato all’olio. Secondo il direttore dell’Onaoo (l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Olio di Oliva), la città ligure sarebbe stata sede di assaggi professionali di olio già in epoca romana.
Il vincitore di MasterChef 2014 è un assaggiatore di olio
Piccola curiosità, il vincitore dell’ultima edizione di MasterChef Italia che si è da poco conclusa, è un assaggiatore di olio. Federico Ferrero, oltre ad essere medico nutrizionista e appassionato di cucina ha anche partecipato con successo al corso per degustatori di olio di oliva indetto dall’Onaoo.

 

I grandi personaggi della ristorazione: Marie-Antoine Carême

Marie-Antoine Carême (1783-1833) sta alla cucina come César Ritz sta all’arte dell’ospitalità.
Ciò che li accomuna è senz’altro il fatto di essere stati autori di una grande rivoluzione all’interno del loro ambito lavorativo ma anche il soprannome che è stato loro affibbiato: come Ritz era noto come “re degli albergatori e albergatore dei re”, così Carême venne presto nominato il “cuoco dei re e il re dei cuochi”.
Sebbene gran parte della sua vita sia trascorsa a contatto con l’alta società e in ambienti di lusso, le origini di Carême sono molto umili. Ultimo di quindici figli, all’età di otto anni viene abbandonato dal padre, operaio squattrinato incapace di provvedere a tutta la famiglia. Questa circostanza drammatica si rivelerà in realtà una grande occasione per Marie-Antoine: accolto da un oste proprietario di una squallida bettola, avrà modo di familiarizzare fin da piccolo con il mondo della gastronomia e apprendere le sue prime lezioni di cucina. A quindici anni viene assunto come apprendista da Bailly, uno dei migliori pasticcieri di Parigi. Il suo destino è segnato e da quel momento in poi la sua carriera come cuoco e pasticciere è tutta in discesa, complici le doti naturali e la spiccata curiosità.
Secondo molti, Marie-Antoine Carême può essere considerato il fondatore della haute cuisine e sarebbe stato il primo nella storia a essere insignito dell’appellativo di chef. Certo è che Carême fece della cucina una vera e propria arte, per la prima volta regolata e codificata come fosse una sorta di scienza. Stabilendo per ogni ricetta i tempi di cottura e le quantità precise, Antonin (così veniva soprannominato) dà il via alla cucina moderna.
La fama di Carême è dovuta soprattutto alle sue indiscusse capacità di pasticciere, è nella creazione dei dolci che il giovane Marie-Antoine dà il meglio di sé, coniugando la sua abilità in cucina con una spiccata creatività. D’altra parte Carême ama moltissimo disegnare e, grazie alla sua straordinaria manualità, riesce a realizzare delle magnifiche torte e stupefacenti centrotavola, elaborati e dall’architettura complessa, tanto da lasciare sbalorditi anche nobili e ricchi signori e da attirare fin da subito richieste e ordini prestigiosi.
Come César Ritz aveva colto la necessità di creare degli hotel di lusso capaci di accontentare la nobiltà e l’alta borghesia, allo stesso modo Carême aveva capito che lo stesso lusso e la stessa scenografia sfarzosa dovessero prendere posto sulle tavole dei grandi personaggi dell’epoca.
La cura di Carême nella realizzazione delle torte è maniacale, il giovane parigino passa infatti le sue notti a disegnare, a fare calcoli complicati e a studiare le opere dei grandi architetti della classicità, che ha modo di osservare frequentando assiduamente il cabinet des estampes della biblioteca nazionale, dove, tra l’altro, impara da solo a leggere e scrivere. Antoine si convince presto che tra architettura e pasticceria non ci sia in realtà una grande differenza, anzi arriva a considerare la seconda un ramo, una specializzazione della prima. È proprio in questo campo che Carême lascia un segno indelebile nella storia della cucina, la sua attenzione per la decorazione monumentale e la presentazione scenografica dei piatti farà scuola.
Tra le invenzioni che vengono attribuite a Carême ci sarebbero i vol-au-vent, le meringhe e svariate salse di accompagnamento. Queste ultime rappresentano una piccola rivoluzione, sono infatti particolarmente leggere e delicate, pensate per esaltare il gusto delle pietanze, a differenza di quelle usate fino a quel momento, di derivazione medievale, che avevano lo scopo di coprire con un forte sapore la qualità scadente degli alimenti utilizzati.
Carême nel corso degli anni prende servizio come cuoco presso i grandi e potenti signori dell’epoca, che letteralmente se lo contendono: prima Monsieur de Lavalette, poi il principe di Tayllerand, infine il principe reggente d’Inghilterra, futuro re Giorgio IV. Successivamente Carême si trasferisce a San Pietroburgo presso la corte dello zar Alessandro I, e poi si ferma per qualche anno dai Rothschild, accrescendo a dismisura la sua fama.
Oltre che cuoco e pasticciere, Carême è stato anche un fine gastronomo, dedicò una buona parte del suo tempo a scrivere delle opere che ancora oggi possono essere considerate fondamentali per comprendere l’evoluzione della cucina. Aveva talmente a cuore i suoi studi che si dice che abbia speso gli ultimi istanti della sua vita a dettare alla figlia degli appunti. Due sono le opere principali di Carême: Il maître francese o un parallelo tra la cucina antica e quella moderna e Il pasticcere parigino del re, entrambe corredate da molte immagini, realizzate e curate dallo stesso autore.
Possiamo infine considerare Carême un designer ante-litteram, si dedicò infatti anche a disegnare alcuni utensili di cucina, come tegami, tortiere, stampini per dolci e il tradizionale berretto da cuoco, la toque a forma di fungo che sostituirà il semplice copricapo di cotone fino a quel momento utilizzato.

Il maître chocolatier

Quello del maître chocolatier è un mestiere vero e anche molto serio anche se forse molti di voi lo conosceranno solo per averlo sentito nominare nelle pubblicità di un paio di note marche di cioccolato.
Di base il maître chocolatier è un pasticciere, ma rispetto ai colleghi “generalisti” ha la rara capacità di manipolare ad arte l’ingrediente più delizioso e amato al mondo, il cioccolato.
Il maître chocolatier sceglie, lavora e trasforma le materie prime che sono alla base di tutte le sue creazioni, ovvero il cacao e lo zucchero. Conosce le loro reazioni al caldo e al freddo, conosce le possibili associazioni con altri prodotti, scova e inventa abbinamenti vincenti con altre materie prime, come il caffè o la frutta secca, tradizionalmente utilizzati nella produzione di cioccolatini.
Essendo il cacao l’elemento imprescindibile di ogni tipo di produzione di cioccolato, la scelta di questa materia prima è particolarmente importante, per questo motivo il maestro chocolatier più attento ed esperto entra in contatto direttamente con i coltivatori e i produttori di cacao, per poter disporre delle migliori fave da poter lavorare.
Il cioccolato è un prodotto molto “sensibile” per la cui elaborazione è necessario valutare attentamente tre fattori: le dosi delle materie prime; l’ordine con cui si mescolano gli ingredienti; le temperature.
Per fare bene questo mestiere è importante anche riconoscere le diverse tipologie di cioccolato a seconda dell’utilizzo che se ne deve fare. Ad esempio, il cioccolato che è destinato a essere sottoposto a cottura deve essere molto ricco di pasta di cacao, mentre quello che serve per rivestire deve essere particolarmente ricco di burro.
Il lavoro di pasticciere- chocolatier si articola in due fasi principali. Durante la prima, il maestro deve trasformare il cacao in cioccolato, deve quindi provvedere alla produzione della pasta, alla preparazione del ripieno e procedere con la cottura, che va seguita e sorvegliata attentamente. Poi si passa alla seconda fase in cui l’artigiano può dare libero spazio alla propria fantasia e creatività trasformando il cioccolato in praline, cioccolatini dalle forme e dagli aromi più disparati o tavolette e uova di pasqua, personalizzando le proprie creazioni con dettagli che ne fanno una specie di firma d’autore.
Il maître chocolatier deve avere un palato abbastanza sviluppato e raffinato, una buona dose di pazienza e precisione, per non dire pignoleria; una certa propensione alla decorazione, unita a una sensibilità estetica.
Il percorso formativo per diventare maître chocolatier è simile a quello di tutte le altre professioni legate al mondo della cucina.
Si può iniziare con un corso base di pasticceria, che generalmente prevede sempre una parte di lezioni dedicata esclusivamente al cioccolato, e poi si deve passare attraverso l’indispensabile pratica presso un professionista o un laboratorio artigianale, dove poter acquisire quelle competenze che non si imparano dai libri e dai corsi ma dall’ esperienza diretta sul campo.
Per riassumere le caratteristiche di questo affascinante mestiere, ricapitoliamo tre vantaggi e tre svantaggi che esso comporta:
Vantaggi
È un lavoro creativo, che permette di esprimere le proprie capacità e la propria personalità.
È un’attività artigianale e manuale che può dare molte soddisfazioni. Consente di creare autonomamente dei prodotti dall’inizio alla fine, dalla fase della scelta delle materie prime a quella della presentazione finale.
È un mestiere richiesto, come molti altri lavori artigianali. Sta diventando sempre più di moda, di pari passo con un mercato che diventa sempre più esigente in fatto di qualità e artigianalità.

Svantaggi
Orari e ritmi non proprio comodi, è una professione che richiede perciò una certa flessibilità e spirito di sacrificio.
È un lavoro faticoso da un punto di vista fisico, in quanto costringe a rimanere in piedi per molte ore.

È un lavoro condizionato dalla stagionalità. Ai periodi di boom di produttività e vendite che caratterizzano, ad esempio, il periodo natalizio e pasquale, possono seguire fasi con minor numero di ordinazioni e il conseguente ridimensionamento del giro di affari.

Il sommelier di birra e le regole della degustazione

È cosa ormai nota e risaputa, ultimamente la degustazione delle bionde va per la maggiore.
No, non parliamo di star del cinema, né di ragazze comuni ma di una delle bevande preferite dagli italiani: la birra.
Dopo essere stata considerata per decenni prodotto di seconda scelta o di serie B rispetto al blasonato vino, relegata e ridotta al trito e ritrito abbinamento con la pizza, la birra ha finalmente conquistato una sua dignità, si è guadagnata uno spazio in prima pagina su molte riviste di settore e ha conquistato il mercato.
Un vero e proprio boom, soprattutto per le birre artigianali che vantano ormai un grosso seguito di appassionati e curiosi. Una vera e propria moda che ha provocato il proliferare di micro-birrifici in ogni parte d’Italia, l’organizzazione di eventi e festival in ogni città e l’apertura di innumerevoli locali deputati alla degustazione di questa bevanda, diventata ormai imprescindibile accompagnamento di cena e dopocena.
Il trend positivo si mantiene costante, se non in crescita, già da diversi anni e non sembra intenzionato ad arrestarsi. Ne consegue, dunque, che il settore birra necessita ormai di una competenza di livello pari a quella che fino a poco tempo fa si poteva riservare solo al più sofisticato vino. Data la vastità raggiunta dal mercato, oggi si richiede una preparazione professionale che riguarda ogni fase del ciclo produttivo di questa bevanda, ma anche il momento della commercializzazione e soprattutto la fase cruciale del consumo all’interno del circuito della ristorazione.
La figura del sommelier di birra si è così imposta come una necessità e una risorsa fondamentale in questo nuovo contesto. Un esperto di birre deve essere preparato su tutto ciò che riguarda la fase della fabbricazione, deve apprendere le tecniche di degustazione e deve saper raccontare ciò che gusta.
Una parte fondamentale del suo lavoro consiste, parallelamente a quanto avviene per il vino, nello sperimentare e trovare gli accostamenti migliori tra la bevanda e altri prodotti.
Il sommelier di birra deve avere una conoscenza approfondita della storia di questo prodotto, della cultura che gli gravita attorno e dei processi produttivi che ne sono alla base, come i segreti della fermentazione. Padroneggia le attività di mescita e spillatura, conosce le possibilità di utilizzo nell’ambito della cucina e della ristorazione, è in grado quindi di creare delle carte della birra e presentare efficacemente le diverse tipologie di prodotto al consumatore finale, guidandolo nella degustazione.
Il servizio della birra è un momento estremamente importante della professione di sommelier, è la fase in cui il professionista entra in contatto diretto con il consumatore e quindi, quello in cui deve dimostrare la propria competenza e guidare il cliente nell’esperienza della degustazione.
Per la migliore degustazione della birra esistono alcune regole di base che devono essere apprese e applicate dal sommelier, se si vuole che la birra si mostri al meglio e faccia così “colpo” sul degustatore. Ecco le quattro regole principali.

Un contenitore adatto
Per una piacevole degustazione della birra e per apprezzarne tutte le caratteristiche si deve utilizzare necessariamente un bicchiere. Non è consigliabile bere direttamente dalla bottiglia, né tantomeno dal solito boccale, non adatto a tutte le qualità, e che ha l’unico vantaggio di avere un pratico manico.
Il bicchiere da birra deve essere rigorosamente di vetro, l’unico in grado di mantenere intatti aromi e profumi e di consentire un buon esame visivo durante la degustazione. Le dimensioni e la forma variano a seconda della tipologia di birra ma in generale il bicchiere deve essere abbastanza capiente da contenere sia la parte liquida che la schiuma. Un bicchiere stretto e slanciato è utile per le birre leggere e per quelle particolarmente frizzanti. Un calice panciuto, come il baloon, è più adatto alla degustazione delle birre corpose, molto alcoliche e con poca schiuma. Il calice a tulipano è particolarmente adatto per le birre aromatiche e molto profumate.

La temperatura giusta
Anche se una bella birra ghiacciata fa gola a tutti, soprattutto in piena estate, servire questo prodotto a una temperatura troppo bassa impedisce di coglierne tutti gli aromi, dal momento che il freddo tende ad anestetizzare le papille gustative. In media, per una migliore degustazione, le temperature di servizio vanno da un minimo di 5° a un massimo di 14°, ma ogni tipo richiede una temperatura specifica che dipende principalmente dal grado di alcool, dalla densità e dalla corposità. Le birre chiare e molto leggere, come le lager, vanno degustate tra i 5 e i 9 gradi; le fruttate tra i 7 e i 9; leggermente più “calde”, intorno ai 10°, le ale e le stout; dai 13° in su quelle più forti e con un maggior livello di alcool.

La spillatura perfetta
Quella della spillatura è una fase delicata che può condizionare il gusto della birra. L’operazione deve essere eseguita con un bicchiere precedentemente sciacquato con acqua fredda, ovviamente pulito e senza tracce di detersivi o brillantanti. Durante la spillatura il bicchiere deve essere inclinato per evitare che si formi troppa schiuma. Quest’ultima, però, deve essere sempre presente e avere un’altezza di circa due dita; inoltre deve sempre mostrarsi compatta poiché deve svolgere una funzione di protezione del liquido rispetto all’ambiente esterno: ne mantiene costante la temperatura e permette che conservi aromi e profumi.
Il segreto di una buona spillatura consiste nel far scorrere per qualche secondo il rubinetto prima di riempire il bicchiere, in questo modo si smaltiscono i residui della birra spillata in precedenza, alterata nella temperatura e nelle caratteristiche dal contatto con l’aria. In base alla tipologia e alla zona di origine, si possono distinguere ben 4 metodi diversi di spillatura: 1) belga-olandese; 2) gaelico-irlandese; 3) alpino-tedesca; 4) anglo-scozzese.

L’esame del prodotto
Per poter assaporare e valutare una birra attraverso la degustazione occorre un esame che tenga conto di tre parametri: l’aspetto, l’odore e il gusto. Per quanto riguarda l’aspetto, gli elementi su cui ci si deve concentrare sono il colore, la limpidezza e la schiuma. Con l’esame olfattivo si riescono a cogliere gli aromi (floreale, fruttato, erbaceo, luppolato, maltato) e a valutarne l’intensità. Infine il gusto, che è il risultato di una serie di fattori, quali: la qualità dell’acqua, il grado di amaro (che dipende dalla quantità e dalla resa del luppolo), l’aroma del luppolo e del malto. Il sapore di una birra si giudicherà, quindi, su una scala che va dall’amarognolo al dolce, passando per l’amaro, l’abboccato e l’amabile.

Il sommelier: i segreti di un lavoro diVino

Chi è
Nell’opinione comune il sommelier è colui che, avendo alle spalle un’ottima conoscenza del prodotto vinicolo, ha il compito di assaggiare e giudicare i vini, per poi servirli agli ospiti in sala. In realtà, pur avendo la cultura e la degustazione come terreno comune, l’assaggiatore e il sommelier sono due figure professionali diverse che ricoprono funzioni differenti: l’assaggiatore si occupa esclusivamente di testare il vino dandone un giudizio tecnico e una valutazione per quanto riguarda la qualità; il sommelier degusta e analizza il vino, ma poi si occupa di tutte quelle attività che concernono il contatto con il pubblico, cioè la presentazione e il servizio al tavolo, e soprattutto l’abbinamento alle portate. Quindi, se possiamo considerare l’assaggiatore uno specialista tecnico del vino, il sommelier si identifica di più con la figura di un buon comunicatore, e di conseguenza un buon venditore, capace di descrivere il vino in modo efficace, oltre che esatto.

Cosa fa
Il lavoro di sommelier si articola in due fasi: la prima, più defilata, dietro le quinte, riguarda la gestione della cantina; la seconda da protagonista, in sala, si esplicita a diretto contatto con il pubblico.
Il sommelier di un ristorante cura la cantina, di cui è responsabile, selezionando e valutando l’assortimento dei vini, che saranno attentamente scelti in base alla personalità del ristorante e alle sue proposte gastronomiche. Insieme al titolare o al direttore, procederà con l’acquisto di vini e spumanti tenendo conto del budget e dello stile del locale. Si occuperà pertanto di realizzare e aggiornare la carta dei vini, il suo principale strumento di vendita.
Un buon sommelier dovrebbe svolgere anche un’attività di scouting e quindi cercare nuove produzioni vinicole da presentare agli ospiti per arricchirne l’esperienza gustativa, “educandoli” e guidandoli in un percorso di continua scoperta.
Una parte importante del lavoro del sommelier si svolge, come abbiamo anticipato, in sala e a diretto contatto con il pubblico. A lui è riservato il compito di servire il vino (solo ed esclusivamente vino, mai acqua o altre bevande) agli ospiti. Una volta che il cliente ha scelto l’etichetta, il sommelier, dopo aver aperto la bottiglia davanti agli ospiti, deve procedere con la verifica olfattiva e l’assaggio; dopo di che deve far assaggiare a sua volta il vino all’ospite più esperto e, in seguito alla sua approvazione, servirlo a tutti gli ospiti secondo le regole e la dovuta eleganza.

Caratteristiche e competenze
Le principali caratteristiche che deve possedere chi vuole esercitare questa professione sono: una buona sensibilità olfattiva e una certa capacità di degustazione. A queste doti naturali si aggiungono le conoscenze necessarie relative al mondo del vino a tutto tondo. Per quanto riguarda l’aspetto teorico, il sommelier deve essere ben informato sulle tecniche di coltivazione, di produzione e conservazione dei vini, nonché su quelle di degustazione, ovviamente. Una buona cultura generale gastronomica completa il profilo.

Da un punto di vista più pratico, invece, deve essere abile nel servizio, nell’utilizzo degli strumenti specifici e soprattutto nella comunicazione, è fondamentale infatti che sappia instaurare un buon rapporto con i clienti, che riesca presentare il vino in modo interessante e convincente, coniugando l’analisi tecnica del prodotto al suo “racconto”.

Gli attrezzi del mestiere
Il sommelier presente in sala deve avere sempre con sé alcuni oggetti che gli sono utili per svolgere il servizio:

Il tastevin
Piccola ciotola o piattino in metallo argentato che serve per la degustazione. Si porta legato al collo principalmente per comodità ma col tempo è diventato quasi un ornamento, emblema della categoria. Oggi l’uso di questo strumento si fa sempre meno diffuso, la forma aperta della ciotola infatti non permette di valutare alcuni aspetti del vino, come il profumo; al suo posto si utilizza il bicchiere iso, un calice di cristallo considerato il bicchiere standard per la degustazione.

Il cavatappi
Il cavatappi professionale standard è composto da tre parti: la lama, la vite autofilettante e il dente di appoggio per l’estrazione del tappo. Deve essere di piccole dimensioni per poter essere tenuto sempre in tasca e avere un aspetto piacevole, sobrio ed elegante.

Il frangino
È un tovagliolo di servizio, interamente di cotone bianco o cromaticamente bipartito (una parte in cotone bianco e una in materiale antimacchia di colore rosso). Si utilizza per il trasporto della bottiglia al tavolo, per pulire e asciugare la bottiglia dopo aver versato il vino.

Il termometro
Altro accessorio imprescindibile, il termometro consente di verificare che la temperatura del vino da servire sia quella giusta, affinché le sue proprietà e caratteristiche restino intatte nel momento in cui viene versato.

Divisa
L’abbigliamento del sommelier deve distinguersi da quello del resto del personale di sala. Generalmente indossa lo smoking, ma in situazioni particolarmente formali o eleganti è raccomandabile indossare il frac. In alcuni ristoranti il sommelier indossa un grembiule lungo nero, abbinato a camicia bianca e pantaloni neri.

Percorso formativo e sbocchi professionali
Quella del sommelier è una professione altamente qualificata, e il “comunicatore di vino” è ormai universalmente riconosciuto come figura chiave nella ristorazione, oltre ad aver acquisito anche un certo prestigio sociale.
Per diventare sommelier è necessario seguire un corso della durata di circa tre anni (per accedere al corso non sono richiesti titoli di studio) al termine del quale si entra in possesso di un attestato. Le due associazioni italiane che possono rilasciare questo certificato sono: l’Associazione Italiana Sommelier (ais) e la Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori (fisar). Durante questo percorso formativo si acquisiscono conoscenze e competenze nel campo dell’enologia, dell’enografia (la geografia del vino) e sui principi dell’abbinamento con il cibo.
Gli sbocchi professionali sono molteplici e numerosi: si può lavorare nei ristoranti o nelle enoteche di alto livello, nelle cantine, nelle aziende vinicole come consulenti; si può essere ingaggiati per fiere e manifestazioni gastronomiche, o essere impiegati nella grande distribuzione. Dopo aver maturato una certa esperienza si può anche diventare wine manager presso grandi aziende che operano nella ristorazione o presso catene alberghiere.

Bravi, ricchi e famosi. 10 chef che sono diventati delle star

Il mestiere di chef richiede, oltre ad una consistente dose di creatività, molto impegno e fatica, una lunga gavetta e tanta esperienza sul campo. Non sempre tutta questa preparazione basta a garantire un buon posto di lavoro e un ottimo stipendio, in molti casi i risultati che si ottengono non sono corrispondenti alle aspettative e all’impegno profuso. Ma a volte, quando la bravura si unisce a una certa destrezza imprenditoriale, a una particolare disinvoltura di fronte alle telecamere e a un pizzico di fortuna, lo chef diventa una vera e propria celebrità, entra a far parte dello star system e porta a casa guadagni record. Non sono numerosissimi gli chef che corrispondono a questo ritratto e che possono vantare una visibilità a livello mondiale, ma tra questi ci sono senza dubbio i dieci che passiamo in rassegna qui di seguito.
Gordon Ramsay
Scozzese di nascita e aspirante calciatore, Ramsay ottiene molto presto riconoscimenti e visibilità: con il suo primo ristorante, il Gordon Ramsay, aperto a Londra nel ‘98, si aggiudica, nel 2001, la terza stella Michelin. Lo chef ha sempre mostrato una certa vocazione internazionale: dal 2005 inizia ad aprire e inaugurare una serie di ristoranti sparsi su tutto il globo che andranno a costituire il suo impero. I suoi guadagni già ottimi si fanno stellari nel momento in cui diventa un volto noto della tv, conduttore di molti e fortunati programmi andati in onda anche in Italia, come Cucine da Incubo e MasterChef Usa.
Alain Ducasse
Ducasse è uno dei cuochi più conosciuti e stimati del mondo. Oltre ad essere chef, è un grande imprenditore che guida una holding, con un fatturato di 700 milioni, che comprende alberghi, ristoranti, corsi di formazione e una casa editrice. Nella sua storia professionale ci sono 19 stelle Michelin, 27 ristoranti e 1500 dipendenti al suo servizio. I suoi fiori all’occhiello sono il Louis xv a Montecarlo, dove Ducasse risiede da molti anni, il ristorante Alain Ducasse dell’l’hôtel Plaza Athénée a Parigi, e Le Jules Verne sulla cima della Tour Eiffel.
Ferran Adrià
Lo chef-guru Ferran Adrià è famoso in tutto il globo per il suo ristorante catalano El Bulli, tempio della cosiddetta cucina destrutturata o molecolare, un locale pensato non come luogo in cui mangiare ma dove vivere un’esperienza gustando piatti “tecno-emozionali”. La cucina sperimentale di Adrià, i cui ingredienti principali sono la sorpresa e la provocazione, è diventata nota in tutto il mondo per il fatto di combinare la preparazione del cibo con le leggi della chimica e della fisica. Per la sua creatività, lo chef spagnolo è stato spesso paragonato ai grandi artisti del ‘900 e celebrato in varie mostre. Attualmente sta lavorando alla trasformazione di El Bulli, chiuso nel 2011, in un museo-centro ricerche culinario.
Réne Redzepi
Réne Redzepi è il titolare, dal 2004, del famoso Noma di Copenaghen, nominato per diversi anni ristorante migliore del mondo. La cucina tipicamente nordica di Redzepi ha saputo conquistare critici e colleghi per la capacità di manipolare e reinventare i pochi ingredienti della terra danese, scelti attentamente e acquistati a non più di 70 km di distanza dal suo ristorante. Il giovane Redzepi riproduce in tavola i paesaggi scandinavi, trasformando in modi inaspettati e inediti le materie prime del territorio e di stagione. Una cucina audace, eredità del periodo formativo trascorso con Ferran Adrià.
Joan, Josep e Jordi Roca
I tre fratelli Joan, Josep e Jordi Roca, unendo le loro competenze come chef, sommelier e pasticciere, hanno reso il ristorante di famiglia un luogo di culto della cucina internazionale. Il pluristellato Celler de Can Roca, a Girona, è considerato uno dei migliori ristoranti al mondo per l’innovazione e la ricerca da cui prendono origine i suoi piatti. La cucina dei fratelli catalani nasce dalla tradizione familiare ma anche da uno studio approfondito che sfocia in invenzioni e tecniche all’avanguardia. Il Roca chef ha brevettato alcuni macchinari, come ad esempio il “polmone meccanico”, mentre il fratello pasticciere ha escogitato un modo per riprodurre i profumi e le essenze più famose al mondo in forma di dessert.
Joe Bastianich
Bastianich forse non è un vero chef ma di sicuro è un vero imprenditore, capace di gestire e portare al successo una trentina di attività, tra ristoranti e aziende vinicole, contemporaneamente. Ma soprattutto è un uomo di spettacolo, molto a suo agio di fronte alle telecamere, come sua madre Lidia d’altronde, cuoca, scrittrice di libri di ricette e conduttrice di varie trasmissioni televisive americane. Nella veste di temuto e severo giudice, Bastianich ha partecipato all’edizione italiana, americana, polacca e cinese di MasterChef.
Jamie Oliver
Non è particolarmente noto in Italia, ma con 19 programmi televisivi all’attivo, 13 libri pubblicati e 11 dvd delle sue ricette, il “naked chef” Jamie Oliver, così soprannominato dal titolo di una sua trasmissione, diventata anche un libro best seller, si è assicurato una grande popolarità presso un pubblico internazionale. Giovane, inglese, deve la sua fortuna alla semplicità della sua cucina e al fatto di aver divulgato la filosofia secondo la quale tutti possono improvvisarsi chef.
Joël Robuchon
È lo chef più stellato in assoluto, ambasciatore della cucina francese nel mondo, ha ristoranti sparsi in ogni paese, da Parigi a Montecarlo, da Londra a New York, passando per Las Vegas, Singapore e Hong Kong. Dal 1996 è diventato volto noto partecipando a numerose trasmissioni televisive di vario tipo acquisendo popolarità presso il grande pubblico francese e non.
Nobu Matsuhisa
Chef giapponese pluristellato, attore e amico di star hollywoodiane del calibro di Robert De Niro (con cui ha aperto una catena di ristoranti), è noto soprattutto per aver codificato la cucina fusion, creando piatti che uniscono gli ingredienti più tipici della tradizione giapponese con quelli della cucina sudamericana. A Matsuhisa si deve in buona parte il successo del sushi e della cucina nipponica esploso nell’ultimo decennio, su cui ha saputo costruire un impero fatto di 25 ristoranti sparsi nei cinque continenti.
Heston Blumenthal
È titolare del Fat Duck, ristorante situato a Bray, nel Berkshire, dove si va non tanto per mangiare quanto per divertirsi ed essere sorpresi dalle estrose proposte dello chef. Formatosi da autodidatta, l’“alchimista culinario” Blumenthal si è guadagnato un posto al sole nell’olimpo gastronomico internazionale unendo la tradizione culinaria british a sperimentazioni, trovate e tecniche proprie della cucina molecolare. È protagonista di vari programmi tv e autore di libri.

Lo chef: l’indiscusso re della cucina

Che lo si chiami elegantemente con un termine francese o si preferisca identificarlo con il suo nome italiano, lo chef è il protagonista indiscusso di ogni luogo deputato alla preparazione e al servizio del cibo, che si tratti di un lussuoso ristorante, dell’osteria più modesta, di un albergo o un’azienda di catering o banqueting. È un vero sovrano che esercita un potere pressoché assoluto nel suo regno: la cucina.
L’importanza che riveste il cuoco nell’economia di un ristorante è piuttosto intuitiva, è evidente che il successo di un locale che somministra cibo dipenda per buona parte dall’abilità del cuoco. Allo stesso modo però, se alcune mancanze e disservizi si possono imputare alla responsabilità dell’intero staff e della direzione, quando si tratta di cibo e piatti che non riscuotono successo c’è un unico colpevole: il cuoco. Su questa figura professionale gravano molte responsabilità, e non è certo un caso visto che il termine francese chef significa proprio capo o comandante. Assumendo il ruolo di guida della piccola comunità rappresentata dalla brigata di cucina, ne diventa responsabile a tutti gli effetti. Le mansioni del cuoco non si limitano all’ideazione e all’esecuzione delle ricette, ma riguardano anche la gestione, la selezione e la formazione del personale che lo affianca in tutte le sue attività.
Compiti e attività dello chef
Lo chef deve costruire la proposta culinaria del ristorante in cui lavora ed elaborare un menu adatto alla location e alla clientela; deve, in sostanza, plasmare l’identità del ristorante. Ciò che gli si richiede non è solo la capacità di eseguire e riprodurre nel modo migliore dei piatti, ma anche di inventarne di nuovi, di dare sfogo alla creatività adeguandola alle esigenze del locale. A lui spetta quindi il compito di redigere la carta e il menu del giorno, in accordo con il direttore del ristorante.
Non è, però, il cuoco in prima persona a cucinare l’intero menu. Generalmente questo si limita a realizzare i piatti più complessi ma garantisce per la preparazione di tutti gli altri, supervisionando i suoi sottoposti che devono lavorare nel rispetto delle norme igieniche e degli standard di qualità.
Il lavoro dello chef non è fatto solo di estro e abilità tecniche, servono anche spiccate capacità organizzative e un pizzico di senso degli affari: il capo della brigata deve occuparsi personalmente della dispensa, monitorare quindi ordini, approvvigionamenti e rifornimenti, stando sempre molto attento alla qualità delle materie prime e alla loro provenienza. Deve avere presente i costi di preparazione dei piatti e saper suggerire, o spesso stabilire, di conseguenza, il prezzo del menu.
L’organizzazione riguarda anche la gestione dello staff: allo chef spetta il compito di stabilire i turni e gli orari di lavoro, così come l’assegnazione dei giorni di congedo. Il capo della cucina affida i diversi compiti ai vari componenti della brigata e si assicura che vengano svolti nei tempi e nelle modalità stabilite. È molto importante che il capo riesca a reclutare, formare e costruire un’equipe coesa, e che arrivi a di stabilire con essa un rapporto di fiducia reciproca.
Infine il cuoco deve comunicare costantemente con la direzione che ne supervisiona l’operato e ne valuta la conformità alla politica generale del ristorante o dell’hotel.
Gerarchia e tipologia di chef
Come abbiamo visto, il cuoco o chef ricopre il ruolo di “direttore generale” nel limitato, ma complesso, campo d’azione della cucina. Gli specifici compiti di questa figura professionale, tuttavia, variano sensibilmente in base alla posizione che essa ricopre nella gerarchia della brigata (codificata da Escoffier) e in base alla partita, cioè ai vari settori in cui è suddivisa la cucina.
Procedendo per gradi, dal più alto al più basso, nella piramide sociale della brigata di cucina incontriamo le seguenti figure:
L’executive chef o chef de cuisine
È il punto di arrivo, il livello più alto di professionalità che si può raggiungere. Dirige e supervisiona tutte le operazioni che si svolgono in cucina: dà istruzioni per la preparazione dei piatti ai suoi sottoposti, guidandoli anche nella cottura e nell’impiattamento. Mentre i cuochi di partita cucinano, l’executive chef dedica buona parte del suo tempo a studiare e individuare nuove tendenze culinarie, a sperimentare proposte innovative.
Master chef o chef manager
Con questa espressione, ultimamente abusata a causa del successo dell’omonima trasmissione televisiva, si indica un executive chef a cui è affidato il compito di gestire più di un ristorante. Generalmente quello in cui lavora fisicamente è di sua proprietà.
Head chef
Ha grandi responsabilità e poteri ma si trova a un gradino più in basso della “scala sociale” rispetto all’executive.
Sous-chef
È il primo assistente dello chef de cuisine e può sostituirlo in sua assenza. Svolge le stesse mansioni del capocuoco, supportandolo e facilitandolo nell’esecuzione di ogni compito.
Chef di partita
Lo chef di partita è un cuoco che si è specializzato in una data disciplina ma è meno esperto e qualificato dello chef de cuisine:
– chef garde-manger = gestisce le celle frigorifere e si occupa di tutte le preparazioni fredde
– chef sausier = si occupa della preparazione di fondi e salse, della cottura di carne in umido, di brasati e affogati
– chef poissonnier = prepara piatti a base di pesce, molluschi e crostacei
– chef rôtisseur = si occupa della preparazione di pollame e selvaggina, della elaborazione di tutti i piatti che richiedono cottura al forno o alla griglia, e anche dei fritti
– chef communard = il suo compito è preparare i pasti per i colleghi e per tutto il personale
– chef entremetier = svolge il compito dello chef communard quando questa figura non è presente nella brigata. È specializzato nella preparazione di farinacei e paste asciutte, oltre che di contorni, uova e legumi
– chef potager = addetto alla preparazione di minestre, zuppe, consommé e vellutate. Spesso si sovrappone alla figura dello chef entremetier
– chef patissier = specializzato nella preparazione dei dolci (anche piccola pasticceria, croissant per la colazione) e paste salate come vol au vent e tartellette.

Requisiti di base dell’aspirante chef
Tra le caratteristiche che un aspirante chef deve avere c’è sicuramente quella di possedere un buon palato, cioè saper distinguere i vari sapori, e un ottimo spirito di osservazione per tutto ciò che si mangia.
La creatività, certo, è molto importante ma perché possa portare dei risultati deve essere accompagnata da tenacia e tanto studio. Leggere, informarsi e soprattutto osservare il lavoro dei professionisti è molto importante, d’altronde si sa… gli artisti mediocri copiano mentre i geni rubano!
Per quanto riguarda l’aspetto più teorico, è importante conoscere a menadito le nozioni di base in campo di igiene e conservazione degli alimenti, e avere qualche conoscenza in campo nutrizionale. Da un punto di vista più pratico, un ragazzo che si appresti a iniziare la carriera per diventare chef deve avere una certa familiarità con gli strumenti della cucina, con i principali tipi di tagli e con le tecniche di base. Una certa padronanza delle tradizioni culinarie non guasta e anzi rappresenta un’ottima base di partenza.
Percorso formativo
Non esiste un percorso di studi standard per diventare cuoco, ma una buona base può essere il conseguimento del diploma presso un istituto professionale alberghiero. Dopo il biennio è bene scegliere con attenzione il ramo in cui ci si vuole specializzare per proseguire il proprio percorso formativo in maniera più orientata e mirata. Superato il periodo scolastico, si può proseguire e incrementare le proprie conoscenze frequentando corsi professionali di cucina e svolgendo tirocini presso ristoranti e strutture alberghiere.