Il sommelier di birra e le regole della degustazione

È cosa ormai nota e risaputa, ultimamente la degustazione delle bionde va per la maggiore.
No, non parliamo di star del cinema, né di ragazze comuni ma di una delle bevande preferite dagli italiani: la birra.
Dopo essere stata considerata per decenni prodotto di seconda scelta o di serie B rispetto al blasonato vino, relegata e ridotta al trito e ritrito abbinamento con la pizza, la birra ha finalmente conquistato una sua dignità, si è guadagnata uno spazio in prima pagina su molte riviste di settore e ha conquistato il mercato.
Un vero e proprio boom, soprattutto per le birre artigianali che vantano ormai un grosso seguito di appassionati e curiosi. Una vera e propria moda che ha provocato il proliferare di micro-birrifici in ogni parte d’Italia, l’organizzazione di eventi e festival in ogni città e l’apertura di innumerevoli locali deputati alla degustazione di questa bevanda, diventata ormai imprescindibile accompagnamento di cena e dopocena.
Il trend positivo si mantiene costante, se non in crescita, già da diversi anni e non sembra intenzionato ad arrestarsi. Ne consegue, dunque, che il settore birra necessita ormai di una competenza di livello pari a quella che fino a poco tempo fa si poteva riservare solo al più sofisticato vino. Data la vastità raggiunta dal mercato, oggi si richiede una preparazione professionale che riguarda ogni fase del ciclo produttivo di questa bevanda, ma anche il momento della commercializzazione e soprattutto la fase cruciale del consumo all’interno del circuito della ristorazione.
La figura del sommelier di birra si è così imposta come una necessità e una risorsa fondamentale in questo nuovo contesto. Un esperto di birre deve essere preparato su tutto ciò che riguarda la fase della fabbricazione, deve apprendere le tecniche di degustazione e deve saper raccontare ciò che gusta.
Una parte fondamentale del suo lavoro consiste, parallelamente a quanto avviene per il vino, nello sperimentare e trovare gli accostamenti migliori tra la bevanda e altri prodotti.
Il sommelier di birra deve avere una conoscenza approfondita della storia di questo prodotto, della cultura che gli gravita attorno e dei processi produttivi che ne sono alla base, come i segreti della fermentazione. Padroneggia le attività di mescita e spillatura, conosce le possibilità di utilizzo nell’ambito della cucina e della ristorazione, è in grado quindi di creare delle carte della birra e presentare efficacemente le diverse tipologie di prodotto al consumatore finale, guidandolo nella degustazione.
Il servizio della birra è un momento estremamente importante della professione di sommelier, è la fase in cui il professionista entra in contatto diretto con il consumatore e quindi, quello in cui deve dimostrare la propria competenza e guidare il cliente nell’esperienza della degustazione.
Per la migliore degustazione della birra esistono alcune regole di base che devono essere apprese e applicate dal sommelier, se si vuole che la birra si mostri al meglio e faccia così “colpo” sul degustatore. Ecco le quattro regole principali.

Un contenitore adatto
Per una piacevole degustazione della birra e per apprezzarne tutte le caratteristiche si deve utilizzare necessariamente un bicchiere. Non è consigliabile bere direttamente dalla bottiglia, né tantomeno dal solito boccale, non adatto a tutte le qualità, e che ha l’unico vantaggio di avere un pratico manico.
Il bicchiere da birra deve essere rigorosamente di vetro, l’unico in grado di mantenere intatti aromi e profumi e di consentire un buon esame visivo durante la degustazione. Le dimensioni e la forma variano a seconda della tipologia di birra ma in generale il bicchiere deve essere abbastanza capiente da contenere sia la parte liquida che la schiuma. Un bicchiere stretto e slanciato è utile per le birre leggere e per quelle particolarmente frizzanti. Un calice panciuto, come il baloon, è più adatto alla degustazione delle birre corpose, molto alcoliche e con poca schiuma. Il calice a tulipano è particolarmente adatto per le birre aromatiche e molto profumate.

La temperatura giusta
Anche se una bella birra ghiacciata fa gola a tutti, soprattutto in piena estate, servire questo prodotto a una temperatura troppo bassa impedisce di coglierne tutti gli aromi, dal momento che il freddo tende ad anestetizzare le papille gustative. In media, per una migliore degustazione, le temperature di servizio vanno da un minimo di 5° a un massimo di 14°, ma ogni tipo richiede una temperatura specifica che dipende principalmente dal grado di alcool, dalla densità e dalla corposità. Le birre chiare e molto leggere, come le lager, vanno degustate tra i 5 e i 9 gradi; le fruttate tra i 7 e i 9; leggermente più “calde”, intorno ai 10°, le ale e le stout; dai 13° in su quelle più forti e con un maggior livello di alcool.

La spillatura perfetta
Quella della spillatura è una fase delicata che può condizionare il gusto della birra. L’operazione deve essere eseguita con un bicchiere precedentemente sciacquato con acqua fredda, ovviamente pulito e senza tracce di detersivi o brillantanti. Durante la spillatura il bicchiere deve essere inclinato per evitare che si formi troppa schiuma. Quest’ultima, però, deve essere sempre presente e avere un’altezza di circa due dita; inoltre deve sempre mostrarsi compatta poiché deve svolgere una funzione di protezione del liquido rispetto all’ambiente esterno: ne mantiene costante la temperatura e permette che conservi aromi e profumi.
Il segreto di una buona spillatura consiste nel far scorrere per qualche secondo il rubinetto prima di riempire il bicchiere, in questo modo si smaltiscono i residui della birra spillata in precedenza, alterata nella temperatura e nelle caratteristiche dal contatto con l’aria. In base alla tipologia e alla zona di origine, si possono distinguere ben 4 metodi diversi di spillatura: 1) belga-olandese; 2) gaelico-irlandese; 3) alpino-tedesca; 4) anglo-scozzese.

L’esame del prodotto
Per poter assaporare e valutare una birra attraverso la degustazione occorre un esame che tenga conto di tre parametri: l’aspetto, l’odore e il gusto. Per quanto riguarda l’aspetto, gli elementi su cui ci si deve concentrare sono il colore, la limpidezza e la schiuma. Con l’esame olfattivo si riescono a cogliere gli aromi (floreale, fruttato, erbaceo, luppolato, maltato) e a valutarne l’intensità. Infine il gusto, che è il risultato di una serie di fattori, quali: la qualità dell’acqua, il grado di amaro (che dipende dalla quantità e dalla resa del luppolo), l’aroma del luppolo e del malto. Il sapore di una birra si giudicherà, quindi, su una scala che va dall’amarognolo al dolce, passando per l’amaro, l’abboccato e l’amabile.

L’universo del vino: I 10 sommelier migliori del mondo

L’universo del vino attrae sempre più curiosi e il nettare degli dei, per i sommelier, da semplice passione, diventa sempre più spesso un’opportunità di lavoro e carriera. Negli ultimi anni si sono moltiplicati i corsi di formazione per assaggiatori e degustatori, e la fama e il prestigio dei sommelier sono cresciuti esponenzialmente, in Italia come all’estero.
Numerose associazioni sono state fondate con l’obiettivo di promuovere il prodotto vino e i professionisti che gli orbitano attorno, organizzando spesso gare e competizioni su scala europea o mondiale. Tra i concorsi più noti attualmente c’è quello organizzato dall’Association de la Sommellerie Internationale, competizione molto prestigiosa con cadenza triennale e quello della Worldwide Sommelier Association (nata da un’iniziativa dell’Associazione Italiana Sommelier), che ogni anno elegge il  Best World Sommelier. Entrambi i concorsi, sebbene spesso in conflitto e disaccordo tra loro, sfornano regolarmente le migliori leve della sommellerie mondiale, che vi facciamo conoscere meglio in questa nostra top ten.

Luca Gardini
Figlio d’arte, a soli 23 anni diventa miglior sommelier d’Italia. Inizia a muovere i primi passi nel settore dopo essersi formato alla tre volte stellata Enoteca di Firenze, sotto la guida di Giorgio Pinchiorri. Può vantare una collaborazione con uno dei ristoranti più famosi del mondo, l’inglese The fat duck e ha lavorato presso il Cracco di Milano, di cui è proprietario il noto chef omonimo. Il vino non è la sua unica passione, nel 2009 si è aggiudicato il titolo di miglior sommelier d’Europa grazie ad una originale proposta di acqua minerale.

Paolo Basso
Italo-svizzero, è forse il professionista più titolato: dopo essere arrivato per ben tre volte a un passo dalla vittoria come vice campione, nell’aprile del 2013 riceve finalmente il premio come miglior sommelier del mondo, a Tokyo. La sua “filosofia degustativa” è improntata alla scoperta: l’aspetto più affascinante del suo lavoro sta nel fatto che ci sia sempre tutto da scoprire; nulla, in ciò che riguarda il vino, può essere considerato assodato.

Luca Martini
Aretino di 33 anni, è sommelier presso l’Osteria Da Giovanna, ristorante della sua città. Ha avuto la fortuna di lavorare a Londra con Steven Spurrier, nota firma di «Decanter magazine», una delle riviste di settore più autorevoli al mondo. Oltre a gestire la cantina dell’Osteria è impegnato nel settore della formazione e in quello del marketing, collabora infatti con un’agenzia di comunicazione.

Gérard Basset
Francese di nascita ma cittadino britannico da molti anni, Basset è stato il fondatore della catena di alberghi di lusso dedicati al nettare degli dei: gli Hotel du Vin. Per il contributo offerto al settore dell’ospitalità in Gran Bretagna, ha ricevuto l’onorificenza di Officer of the Order of the British Empire (OBE). Nonostante ne abbia fatto una professione e un business, per lui il vino è soprattutto “piacere e convivialità”.

Olivier Poussier
Da circa vent’anni affianca, in qualità di sommelier, i più importanti chef europei. È responsabile degli acquisti del gruppo Lenôtre e lavora come consulente per diverse grandi aziende, non tutte francesi e non tutte del settore gastronomico, come Air France e Heineken. Scrive e interviene costantemente sulla stampa specializzata e collabora alla redazione della guida Les meilleurs vins de France, edita dalla «Revue du vin de France».
Aldo Sohm
Italiano di nome, austriaco di origini e statunitense di adozione, Sohm diventa il miglior sommelier del mondo nel 2008, ma già negli anni precedenti si fa notare per la sua competenza: nel 2006 il New York Magazine lo indica come miglior sommelier in circolazione nella grande mela. In questa stessa città Aldo lavora come wine director in un noto e pluristellato ristorante, Le Bernardin.

Andreas Larsson
Lo svedese Larsonn, “incoronato” nel 2007, ha saputo conquistarsi un’ottima reputazione a livello internazionale come degustatore preparato e raffinato. Il suo ingresso nel mondo dell’enogastronomia avviene in veste di chef, ma ben presto scopre una vera passione per il vino, coltivata durante numerosi viaggi in Europa. Ha una particolare predilezione per i vini francesi.

Enrico Bernardo
Altro italiano ad essere salito sul podio della sommellerie internazionale, Bernardo è il più giovane professionista della storia a ricevere il titolo di miglior sommelier del mondo, nel 2004, all’età di 27 anni. Ha aperto due ristoranti e una boutique a Parigi. Oggi si occupa di formazione e gestisce una società di consulenze per aziende che producono e distribuiscono vino e, più in generale, per realtà legate al settore della gastronomia. Scrive libri e disegna bicchieri da degustazione.

Markus Del Monego
Di origini svizzere, è il primo, e finora unico, tedesco ad aver ottenuto il titolo di miglior sommelier del mondo. É anche il primo sommelier della storia ad aver ottenuto contemporaneamente il prestigiosissimo titolo di Master of Wine. Dedica la maggior parte del suo tempo alla gestione della CaveCo, la sua società di consulenza.

Gérard Margeon
Pur non essendo mai stato nominato miglior sommelier del mondo, Gérard Margeon non poteva mancare in questa (parziale e arbitraria) classifica in virtù dell’influenza che esercita su tutto il settore e per la sua fama di “magnate”. Ottiene il primo incarico da sommelier a Biarritz, presso il Miramar, poi a Parigi al Méridien Montparnasse, qui avviene l’incontro con Ducasse e la svolta: il Louis XV di Monte Carlo. In quanto chef sommelier del gruppo Alain Ducasse, si ritrova a supervisionare quotidianamente la carta dei vini di decine di ristoranti e hotel sparsi nel mondo. È particolarmente noto per aver adottato un approccio diverso e innovativo al vino e alla sua degustazione.

L’arte di aprire una bottiglia di vino

Aprire una bottiglia di vino può sembrare un’operazione molto semplice da compiere ma che, a volte, in presenza di clienti o ospiti importanti, se si è alle prime armi o poco esperti, può creare situazioni imbarazzanti facendoci sembrare dei perfetti imbranati.
Vediamo, quindi, quali sono le azioni da compiere passo passo per evitare figure barbine e fare una bella impressione davanti agli altri in ogni occasione. Dopo tutto, bastano poche istruzioni e un po’ di allenamento!
Partiamo dalle basi, ovvero dalla cassetta degli attrezzi. Sono tre gli oggetti che dovrete avere con voi al momento di stappare una bottiglia:

1) Un cavatappi professionale
Di cavatappi ne esistono moltissimi, di ogni tipo e forma e possono essere scelti a seconda dei gusti e delle esigenze. Il cavatappi professionale, paradossalmente, è il più semplice di tutti e anche il più funzionale. Si compone di tre parti principali: la lama con cui si taglia la capsula; la spirale, detta anche “verme”, che si inserisce nel tappo; il braccio mobile con cui si fa leva sul collo della bottiglia per l’estrazione del tappo.

2) Un tovagliolo di stoffa
Un tovagliolo di qualsiasi tipo ma rigorosamente di stoffa, mai di carta! Servirà ad asciugare la bottiglia (nel caso in cui questa venga presa da un secchiello del ghiaccio), a ripulire il collo da eventuali macchie e residui e a estrarre il tappo (non fatelo direttamente con le mani). In realtà, al posto del comune tovagliolo, i professionisti dovrebbero utilizzare un panno apposito, chiamato “frangino”, una sorta di tovaglietta di cotone bianco. Ultimamente si sta diffondendo anche l’uso di un particolare tipo di frangino, il “torciòlo”. Si tratta di un tovagliolo, lucido e liscio al tatto, realizzato in un materiale “hi-tech” antimacchia. Il torciòlo ha la caratteristica di essere composto da due parti, una bianca e una rossa. Sulla parte bianca si poggia la bottiglia, in modo che sia più visibile e presentata più elegantemente, mentre la parte rossa serve a pulire il collo della bottiglia dalla polvere o dalle gocce di vino. Grazie al tipo di tessuto e al colore, il panno avrà comunque un aspetto pulito e ordinato. Questo particolare tovagliolo è inoltre dotato di un’asola in cui si inserisce il collo della bottiglia, ciò permette di mantenere ben salda la presa.

3) La bottiglia di vino
Prima di stappare la bottiglia è importante, dopo averla presa dal suo scomparto, verificare che non ci siano sedimenti sul fondo. Il cameriere deve portare la bottiglia al tavolo tenendola con il braccio sinistro e utilizzando il tovagliolo.
Dopo esserci dotati degli strumenti indispensabili vediamo cosa si deve fare. L’operazione dell’apertura di una bottiglia si articola generalmente in cinque azioni o passaggi:

– Taglio e rimozione della capsula
– Controllo e pulizia del collo della bottiglia
– Estrazione del tappo
– Esame del tappo
– Servizio

Analizziamo le singole azioni in dettaglio:
1-Il taglio della capsula si fa con la lama del cavatappi. Attenzione a come tagliate, anche l’occhio vuole la sua parte! Evitate di fare troppi tagli e in modo disordinato, incidete solo tre volte il materiale con cui è fatta la capsula: effettuate un primo taglio netto intorno al collo della bottiglia, in senso orario; procedete con un secondo taglio deciso in senso antiorario, per completare l’incisione; terminate con un terzo taglio dall’alto verso il basso, dal tappo all’incisione già fatta sul collo. Cercate di eseguire dei tagli precisi e profondi, così sarà molto facile rimuovere la capsula, basterà infatti infilare la lama del cavatappi sotto il rivestimento del tappo e questo verrà via facilmente. Durante questa operazione è importante tenere ben ferma e salda la bottiglia, senza inclinarla.
2-Una volta rimossa la capsula, togliere eventuali residui e pulire la parte alta della bottiglia nel caso in cui ci fosse della polvere. Per compiere queste azioni usate l’apposito tovagliolo di stoffa.
3-Inserite la punta della spirale al centro del tappo e iniziate ad avvitare scendendo man mano in profondità ma stando attenti a non arrivare a bucare la parte inferiore del tappo; fermatevi all’incirca a metà. Perforare il tappo da parte a parte non è molto elegante da un punto di vista estetico ma soprattutto rischia di far cadere dei residui di sughero nel vino. Estraete il tappo puntando la leva del cavatappi sul bordo del collo. È importante non piegare il sughero e soprattutto non fare rumore durante l’estrazione.
4-Prendete il tappo estratto con il tovagliolo e annusatelo per verificare che non abbia odore di sughero o muffa. Il profumo di vino dovrà essere l’unico odore percepito, altrimenti sarà necessario assaggiare il vino per valutarne la bontà e eventualmente prendere un’altra bottiglia. Verificare anche l’aspetto del tappo, non deve essere né troppo secco né troppo bagnato, ma umido per 2-3 millimetri.
5-Eccoci alla parte più importante, quella per cui sarete giudicati per la vostra eleganza e sicurezza: il servizio. Per fare una bella figura basta seguire queste semplici ma fondamentali indicazioni:

-Versate il vino nei bicchieri facendolo cadere dall’alto in modo che possa ossigenarsi.
-Fate attenzione a versare lentamente e a non toccare i bicchieri con la bottiglia.
-Abbiate cura di lasciare l’etichetta della bottiglia ben visibile.
-È importante, per evidenti ragioni, non far cadere il vino e non sgocciolare. Per ovviare a questa eventualità imbarazzante provate a ruotare un po’ la bottiglia dopo aver versato il vino.

Ricordate sempre che è importante cercare di compiere ogni azione con eleganza e disinvoltura, dando l’impressione di essere a proprio agio e padroni della situazione. Agite con sicurezza, per quanto possibile rispetto alla vostra effettiva abilità ed esperienza.

Il sommelier: i segreti di un lavoro diVino

Chi è
Nell’opinione comune il sommelier è colui che, avendo alle spalle un’ottima conoscenza del prodotto vinicolo, ha il compito di assaggiare e giudicare i vini, per poi servirli agli ospiti in sala. In realtà, pur avendo la cultura e la degustazione come terreno comune, l’assaggiatore e il sommelier sono due figure professionali diverse che ricoprono funzioni differenti: l’assaggiatore si occupa esclusivamente di testare il vino dandone un giudizio tecnico e una valutazione per quanto riguarda la qualità; il sommelier degusta e analizza il vino, ma poi si occupa di tutte quelle attività che concernono il contatto con il pubblico, cioè la presentazione e il servizio al tavolo, e soprattutto l’abbinamento alle portate. Quindi, se possiamo considerare l’assaggiatore uno specialista tecnico del vino, il sommelier si identifica di più con la figura di un buon comunicatore, e di conseguenza un buon venditore, capace di descrivere il vino in modo efficace, oltre che esatto.

Cosa fa
Il lavoro di sommelier si articola in due fasi: la prima, più defilata, dietro le quinte, riguarda la gestione della cantina; la seconda da protagonista, in sala, si esplicita a diretto contatto con il pubblico.
Il sommelier di un ristorante cura la cantina, di cui è responsabile, selezionando e valutando l’assortimento dei vini, che saranno attentamente scelti in base alla personalità del ristorante e alle sue proposte gastronomiche. Insieme al titolare o al direttore, procederà con l’acquisto di vini e spumanti tenendo conto del budget e dello stile del locale. Si occuperà pertanto di realizzare e aggiornare la carta dei vini, il suo principale strumento di vendita.
Un buon sommelier dovrebbe svolgere anche un’attività di scouting e quindi cercare nuove produzioni vinicole da presentare agli ospiti per arricchirne l’esperienza gustativa, “educandoli” e guidandoli in un percorso di continua scoperta.
Una parte importante del lavoro del sommelier si svolge, come abbiamo anticipato, in sala e a diretto contatto con il pubblico. A lui è riservato il compito di servire il vino (solo ed esclusivamente vino, mai acqua o altre bevande) agli ospiti. Una volta che il cliente ha scelto l’etichetta, il sommelier, dopo aver aperto la bottiglia davanti agli ospiti, deve procedere con la verifica olfattiva e l’assaggio; dopo di che deve far assaggiare a sua volta il vino all’ospite più esperto e, in seguito alla sua approvazione, servirlo a tutti gli ospiti secondo le regole e la dovuta eleganza.

Caratteristiche e competenze
Le principali caratteristiche che deve possedere chi vuole esercitare questa professione sono: una buona sensibilità olfattiva e una certa capacità di degustazione. A queste doti naturali si aggiungono le conoscenze necessarie relative al mondo del vino a tutto tondo. Per quanto riguarda l’aspetto teorico, il sommelier deve essere ben informato sulle tecniche di coltivazione, di produzione e conservazione dei vini, nonché su quelle di degustazione, ovviamente. Una buona cultura generale gastronomica completa il profilo.

Da un punto di vista più pratico, invece, deve essere abile nel servizio, nell’utilizzo degli strumenti specifici e soprattutto nella comunicazione, è fondamentale infatti che sappia instaurare un buon rapporto con i clienti, che riesca presentare il vino in modo interessante e convincente, coniugando l’analisi tecnica del prodotto al suo “racconto”.

Gli attrezzi del mestiere
Il sommelier presente in sala deve avere sempre con sé alcuni oggetti che gli sono utili per svolgere il servizio:

Il tastevin
Piccola ciotola o piattino in metallo argentato che serve per la degustazione. Si porta legato al collo principalmente per comodità ma col tempo è diventato quasi un ornamento, emblema della categoria. Oggi l’uso di questo strumento si fa sempre meno diffuso, la forma aperta della ciotola infatti non permette di valutare alcuni aspetti del vino, come il profumo; al suo posto si utilizza il bicchiere iso, un calice di cristallo considerato il bicchiere standard per la degustazione.

Il cavatappi
Il cavatappi professionale standard è composto da tre parti: la lama, la vite autofilettante e il dente di appoggio per l’estrazione del tappo. Deve essere di piccole dimensioni per poter essere tenuto sempre in tasca e avere un aspetto piacevole, sobrio ed elegante.

Il frangino
È un tovagliolo di servizio, interamente di cotone bianco o cromaticamente bipartito (una parte in cotone bianco e una in materiale antimacchia di colore rosso). Si utilizza per il trasporto della bottiglia al tavolo, per pulire e asciugare la bottiglia dopo aver versato il vino.

Il termometro
Altro accessorio imprescindibile, il termometro consente di verificare che la temperatura del vino da servire sia quella giusta, affinché le sue proprietà e caratteristiche restino intatte nel momento in cui viene versato.

Divisa
L’abbigliamento del sommelier deve distinguersi da quello del resto del personale di sala. Generalmente indossa lo smoking, ma in situazioni particolarmente formali o eleganti è raccomandabile indossare il frac. In alcuni ristoranti il sommelier indossa un grembiule lungo nero, abbinato a camicia bianca e pantaloni neri.

Percorso formativo e sbocchi professionali
Quella del sommelier è una professione altamente qualificata, e il “comunicatore di vino” è ormai universalmente riconosciuto come figura chiave nella ristorazione, oltre ad aver acquisito anche un certo prestigio sociale.
Per diventare sommelier è necessario seguire un corso della durata di circa tre anni (per accedere al corso non sono richiesti titoli di studio) al termine del quale si entra in possesso di un attestato. Le due associazioni italiane che possono rilasciare questo certificato sono: l’Associazione Italiana Sommelier (ais) e la Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori (fisar). Durante questo percorso formativo si acquisiscono conoscenze e competenze nel campo dell’enologia, dell’enografia (la geografia del vino) e sui principi dell’abbinamento con il cibo.
Gli sbocchi professionali sono molteplici e numerosi: si può lavorare nei ristoranti o nelle enoteche di alto livello, nelle cantine, nelle aziende vinicole come consulenti; si può essere ingaggiati per fiere e manifestazioni gastronomiche, o essere impiegati nella grande distribuzione. Dopo aver maturato una certa esperienza si può anche diventare wine manager presso grandi aziende che operano nella ristorazione o presso catene alberghiere.

La carta dei vini

La carta dei vini rappresenta l’assortimento della cantina di un ristorante e riflette, insieme al menu, l’identità di un locale.
E’ importante quindi saperla costruire per poter promuovere al meglio la proprio proposta enologica.
Ogni ristoratore sceglie le etichette dei vitigni che preferisce, che considera più adatte alla sua proposta culinaria o che ritiene più in linea con il suo pubblico-target di riferimento. Utilizziamo volutamente il termine “target”, parola principalmente legata al mondo del marketing, proprio perché la carta dei vini deve essere pensata, ideata e costruita con la consapevolezza che svolgerà un ruolo fondamentale proprio a livello di comunicazione e promozione.
Una buona carta dei vini può diventare un importante strumento promozionale che va quindi studiato appositamente e curato nei dettagli. Bisogna inoltre ricordare che il cliente di oggi è molto diverso da quello di ieri per quanto riguarda la preparazione e la consapevolezza. Sono molto più numerosi oggi gli esperti ma anche i semplici appassionati che possiedono una conoscenza piuttosto approfondita del mercato vinicolo. Avendo maggiori strumenti, sicuramente sono più attenti e critici rispetto a quanto viene loro offerto, per questo la carta dei vini deve essere il risultato di un lavoro accurato, anche nei locali di livello medio.
La prima cosa che un ristoratore deve fare al momento di costruire la sua carta dei vini è focalizzarsi su due semplici domande: quali vini proporre e in che quantità. Non è necessario presentare una lista lunghissima o un tomo da enciclopedia per cercare di fare una buona impressione e per dare un’immagine positiva del locale, è molto più apprezzata una selezione magari ristretta ma ben pensata, scelta con cura e in linea con l’identità della cucina proposta. Venti o trenta etichette selezionate con gusto sono più che sufficienti. È importante scegliere senza preoccuparsi della quantità, e per iniziare si può seguire un semplice ma efficace criterio: il numero dei vini offerti deve corrispondere in linea generale al numero dei piatti proposti nel menu. Ricordiamo inoltre che liste chilometriche possono sortire l’effetto contrario rispetto a quello desiderato, invece che attrarre e colpire positivamente il cliente, il più delle volte lo confondono e intimoriscono, soprattutto se poco avvezzo alla scelta del vino.
Un buon modo per iniziare a pianificare la propria offerta enologica è informarsi il più possibile per avere una conoscenza generale e successivamente cominciare a cercare, magari facendo un po’ di scouting tra le piccole realtà produttive. Un consiglio può essere quello di partire da vini del proprio territorio di riferimento e poi man mano ampliare, iniziare dalle scelte basilari e successivamente arricchire l’offerta con qualcosa di nuovo o di più originale che denoti la passione del ristoratore e evidenzi il lavoro di ricerca fatto. Anziché strafare, è preferibile farsi guidare dal semplice buon senso quindi evitare di fare scelte troppo legate alle mode e iniziare selezionando vini che si abbinano alle proprie proposte culinarie.
Una volta individuati i vini, si passa alla realizzazione pratica della carta. L’aspetto stilistico e comunicativo è decisivo nella presentazione dell’offerta. Sarà necessario trovare il modo più corretto ma soprattutto efficace per descrivere i vini da proporre. È importante cercare di trasmettere la conoscenza del settore ma anche la passione, senza esagerare ovviamente, la chiarezza è, infatti, un altro dei requisiti da soddisfare. Chiarezza, semplicità e sintesi, dunque. Non serve scrivere testi ridondanti, anche perché bisogna tenere conto del fatto che la carta dei vini ha un ottimo aiutante: il sommelier. A lui spetta il compito di dare spiegazioni e consigli su cosa degustare, saprà quindi integrare le informazioni contenute nella carta con la sua personale esperienza: essendo perfettamente informato sulle etichette proposte può interagire e dialogare con gli ospiti, suggerendo i migliori abbinamenti con i piatti scelti.
Ma quali sono le caratteristiche che deve avere una carta dei vini per essere ben fatta e ben proposta? Vediamole qui di seguito:
– Correttezza
La carta dei vini deve riportare i nomi e le etichette che effettivamente sono presenti nella cantina del ristorante. Non è consigliabile inserire vini che in realtà non sono disponibili solo per dare l’impressione di un assortimento più vasto. È piuttosto spiacevole per il cliente, magari dopo una lunga indecisione, chiedere una particolare etichetta e sentirsi rispondere che in realtà non c’è.
– Aggiornamento.
La proposta dei vini deve essere aggiornata il più frequentemente possibile sia per evitare i disguidi di cui sopra sia, al contrario, per poter dare visibilità a un’etichetta scoperta e inserita da poco nell’offerta. In linea di massima dovrebbe essere aggiornata almeno due volte durante l’anno, nello specifico in corrispondenza del periodo delle vendemmie e dell’uscita di nuove etichette.
– Offerta alla mescita.
Sarebbe opportuno offrire sempre una selezione di vini alla mescita che andrà a integrare la carta. Questo, oltre a ampliare la scelta, comunicherà un’idea più dinamica e varia delle proposte.
– Classificazione chiara
I vini generalmente sono elencati e proposti in base alla tipologia (spumanti, champagne, bianchi, rossi, vini da dessert etc). È possibile, anzi raccomandabile, creare delle sottosezioni per rendere più chiara la carta, ad esempio classificare per provenienza geografica o scegliere l’ordine alfabetico.
– Informazioni indispensabili
Ogni vino può essere corredato da descrizioni più o meno dettagliate che ne indicano le qualità o caratteristiche; cosa mettere in evidenza di una certa etichetta è infatti una libera scelta del ristoratore. Si può ad esempio arricchire la presentazione di un vino indicandone il grado alcolico o la descrizione organolettica. Al di là dell’arbitrarietà, però, ci sono delle informazioni indispensabili che devono essere comunicate all’ospite perché possa scegliere in piena libertà e consapevolezza: il nome (denominazione, cantina e vino), l’anno, il prezzo, il formato della bottiglia.
– Aspetti grafici e stilistici
Come per il menu, anche nella realizzazione della carta dei vini è fondamentale privilegiare la leggibilità e la chiarezza rispetto agli aspetti decorativi. Una cosa non esclude l’altra ma è fondamentale che la lista sia facilmente fruibile, quindi fare attenzione a scegliere per esempio una grafia o una font semplice e chiara, o una spaziatura che faciliti la lettura.
-Prezzi adeguati
Il prezzo è sicuramente un fondamentale strumento di marketing, è molto importante riuscire a stabilire il giusto costo della vostra selezione di vini. Sebbene la definizione del prezzo sia un’operazione molto arbitraria che deve tenere conto di fattori e considerazioni che variano da locale a locale, nella fase decisionale si devono tenere presenti tre elementi principali: la qualità del vino offerto, il target di riferimento e la tipologia di ristorante.

Gli Idro-sommelier: quando l’acqua si degusta come il vino

Generalmente quando un cliente ordina dell’acqua in un ristorante o al bar, l’unica scelta che gli si offre è quella che riguarda la presenza o no di bollicine, la classica distinzione tra acqua naturale o frizzante. Ciò dice molto sulla superficialità che regna sull’argomento, sull’approccio ancora molto approssimativo che si ha nei confronti di questo elemento così importante. Non esiste infatti un’acqua uguale all’altra, ogni tipologia ha caratteristiche e sapori diversi, percepibili anche dal palato dei non esperti. Sebbene la capacità di avvertire le differenze sia meno immediata rispetto a quanto avviene per i vini, prestando un po’ di attenzione e soprattutto con l’abitudine, l’esercizio e l’esperienza, si può arrivare a sviluppare una certa competenza in merito.
Da queste considerazioni è nata l’esigenza di porre l’acqua al centro del discorso gastronomico e di trattarla come un prodotto al pari del vino, da analizzare e studiare, valutandone le qualità organolettiche e le possibili relazioni o abbinamenti con il cibo. Questa “scienza dell’acqua” ha trovato terreno fertile in Italia, che, avendo a disposizione numerose sorgenti a cui attingere, è uno dei principali produttori mondiali di acqua minerale, e dove si è andata delineando una nuova professione, quella dell’idrosommelier, un sommelier specializzato, appunto, nella degustazione dell’acqua.

Per diffondere e promuovere questa nuova cultura idrocentrica è stata istituita l’Associazione Degustatori Acque Minerali, fondata a Bologna nel 2002. L’associazione ha scelto di realizzare e pubblicare una vera e propria carta delle acque, che si propone come una guida alle etichette più interessanti da un punto di vista gastronomico e un aiuto a orientarsi per tutti coloro che vogliono avvicinarsi al mondo della degustazione delle minerali.
La carta delle acque è diventata una realtà in diversi ristoranti del mondo, a Berlino, ad esempio, un noto idrosommelier, Jerk Martin Riese, ha proposto una lista con ben quaranta etichette da gustare. Tra queste, alcune davvero originali, come la Vichy Catalan, molto salata e particolarmente indicata per le sue proprietà digestive e l’acqua piovana della Tasmania, che deve la sua particolarità al fatto di essere raccolta e imbottigliata prima che tocchi terra.
Come per i sommelier tradizionali, l’attività primaria dell’idrosommelier coincide con la degustazione.
Il gusto delle acque varia in base a diversi parametri, tra questi il livello di mineralizzazione, di ph e la percentuale di anidride carbonica, caratteristiche che cambiano in base alla provenienza e ai sali minerali che vengono assorbiti durante il percorso sotterraneo fino alla sorgente. Da queste e altre proprietà derivano i quattro gusti di base che può avere un’acqua, cioè la tendenza al salato, all’acido, al dolce e all’amaro. Un sommelier esperto, quando si appresta a valutare un’etichetta, deve saper isolare ed esprimere un giudizio su quattro tratti principali: il colore, l’odore, il sapore e i possibili abbinamenti con il cibo.
L’aspetto più interessante e curioso della professione di idrosommelier è quello che riguarda la capacità di abbinare una tipologia di acqua diversa a ogni tipo di piatto e portata. Anche se molto dipende dal gusto personale e dal genere del consumatore (sembra che le donne tendano a preferire acqua più dolce e povera di gas mentre gli uomini frizzante e dal gusto più deciso), la regola generale in materia di abbinamenti prevede l’accostamento di acque frizzanti a piatti a base di carne e formaggi, in quanto cibi di consistenza granulosa. Le acque naturali, invece, si sposano meglio con pietanze dal gusto più delicato. Il criterio da seguire nella formulazione degli abbinamenti è il rapporto tra effervescenza dell’acqua e consistenza del cibo: per i piatti “pesanti”e molto conditi si consiglia un’acqua più frizzante che ne smorzi e contrasti l’aspetto grasso; al contrario acque naturali o “piatte”, come si dice in gergo, sono adatte a gusti più tenui o dolci.

Il sommelier deve essere in grado di trovare anche il giusto abbinamento tra le acque e i vini, dal momento che il sapore delle prime può alterare la degustazione dei secondi. Secondo Arno Steguweit, uno dei più noti idrosommelier europei, a vini bianchi e leggeri si devono accostare acque frizzanti che aprano le papille gustative, mentre ai bianchi più acidi si abbinano acque naturali che addolciscono i tannini. Per quanto riguarda i rossi, ai più secchi si devono abbinare sempre acque naturali (le bollicine rompono l’armonia: separando i componenti creano un effetto disarmonico); per quelli più dolci l’abbinamento dipende dai gusti personali, in quanto le bolle marcano molto la sensazione di dolcezza.
Come il sommelier di vino, anche quello specializzato in acqua deve assaggiare, consigliare e servire, e anche per l’acqua il servizio segue regole precise. Innanzitutto occorre fare attenzione alla scelta del bicchiere: le naturali devono essere servite in calici bassi, le frizzanti in calici a stelo lungo, per evitare che il calore della mano possa scaldare il contenuto del bicchiere e quindi comprometterne le caratteristiche. Per quanto riguarda la temperatura, le naturali devono essere servite intorno ai 12 gradi, mentre le effervescenti a circa 10 gradi. È assolutamente vietato servire acqua con ghiaccio o limone: il primo anestetizza le papille gustative, mentre il secondo ne compromette pesantemente il gusto.
Oltre che oggetto di studio e di una professione, l’acqua è diventata un business vero e proprio. Da qualche anno, infatti, si è diffusa la moda dei water store, cioè negozi, o meglio boutique, che offrono acqua per tutti i gusti, e dei water bar (come il Bar à Bulles e Chez Colette a Parigi), interi locali deputati alla degustazione di questa risorsa che si sorseggia ormai come un drink. Con il prestigio acquisito dal prodotto, anche il marketing e il packaging hanno cambiato rotta adeguandosi alla nuova percezione. Niente più anonime bottiglie di vetro o plastica: trattando l’acqua come un bene di lusso indirizzato a una clientela facoltosa, si è cominciato a mettere sul mercato bottiglie di cristallo pregiato, dal design raffinato, confezioni firmate da grandi stilisti o particolarmente ricercate, come la famosa bottiglia in Swarovski della Bling H2O.

Sebbene sia ancora poco nota e diffusa, la professione di sommelier di acqua sta acquistando, col tempo, sempre maggiore prestigio e rilevanza e viene guardata con curiosità soprattutto all’estero. La specializzazione come idrosommelier può rappresentare un’ottima opportunità professionale per molti lavoratori del settore ristorativo che possono così pensare di accedere a contesti di eccellenza in cui le competenze in questa materia sono molto apprezzate.