visita in cantina con pranzo e degustazione

Visita in cantina con pranzo e degustazione alle porte di Roma

Paola Di Mauro è uno di quei personaggi che un appassionato di vino non può non conoscere. Oltre a produrre vini mai banali, la “Signora del vino” incarna il sogno che tutti vorrebbero realizzare, quel sogno di passare dal lavoro di una vita al lavoro della vita. Tutto nasce quasi per caso, quando nel 1968 la famiglia Di Mauro decide di vendere la casa nella “caotica” (sic!) Fregene e acquistare una villa alle porte di Roma, in campagna e vicino al lago (di Albano), con 4 ettari di vigna intorno.
Oggi il lavoro è portato avanti da Valerio e suo padre Armando che ci aprono le porte dell’azienda (e non solo).
Dopo la visita alla cantina, dove potremo sentire direttamente da Valerio come nascono i loro vini (premiati dalle maggiori guide nazionali) si prosegue con un pranzo in cui avremo la possibilità di assaggiare tutte le tipologie di vino in produzione:

VINI BIANCHI
Coste Rotonde
Donna Paola
Le Vignole

VINI ROSSI
Collerosso
Perlaia
Il Vassallo

Il Menù è in via di definizione, ma sarà composta da un antipasto, 2 primi, un secondo, contorno, dolce, acqua e caffè.

DOVE: azienda COLLE PICCHIONI
via di Colle Picchione 46 – Frattocchie (RM)

QUANDO: 12 DICEMBRE 2015 – ORE 11

COME: prenotazione OBBLIGATORIA, il costo totale è di 40 Euro, comprensivo di iscrizione all’Associazione Culturale Incontri di Vite.

Per info e iscrizioni:
mail: incontridivite@gmail.com
tel: +39 347 0558747

Link: https://www.facebook.com/events/1645851865690757/

 

Il sommelier di birra e le regole della degustazione

È cosa ormai nota e risaputa, ultimamente la degustazione delle bionde va per la maggiore.
No, non parliamo di star del cinema, né di ragazze comuni ma di una delle bevande preferite dagli italiani: la birra.
Dopo essere stata considerata per decenni prodotto di seconda scelta o di serie B rispetto al blasonato vino, relegata e ridotta al trito e ritrito abbinamento con la pizza, la birra ha finalmente conquistato una sua dignità, si è guadagnata uno spazio in prima pagina su molte riviste di settore e ha conquistato il mercato.
Un vero e proprio boom, soprattutto per le birre artigianali che vantano ormai un grosso seguito di appassionati e curiosi. Una vera e propria moda che ha provocato il proliferare di micro-birrifici in ogni parte d’Italia, l’organizzazione di eventi e festival in ogni città e l’apertura di innumerevoli locali deputati alla degustazione di questa bevanda, diventata ormai imprescindibile accompagnamento di cena e dopocena.
Il trend positivo si mantiene costante, se non in crescita, già da diversi anni e non sembra intenzionato ad arrestarsi. Ne consegue, dunque, che il settore birra necessita ormai di una competenza di livello pari a quella che fino a poco tempo fa si poteva riservare solo al più sofisticato vino. Data la vastità raggiunta dal mercato, oggi si richiede una preparazione professionale che riguarda ogni fase del ciclo produttivo di questa bevanda, ma anche il momento della commercializzazione e soprattutto la fase cruciale del consumo all’interno del circuito della ristorazione.
La figura del sommelier di birra si è così imposta come una necessità e una risorsa fondamentale in questo nuovo contesto. Un esperto di birre deve essere preparato su tutto ciò che riguarda la fase della fabbricazione, deve apprendere le tecniche di degustazione e deve saper raccontare ciò che gusta.
Una parte fondamentale del suo lavoro consiste, parallelamente a quanto avviene per il vino, nello sperimentare e trovare gli accostamenti migliori tra la bevanda e altri prodotti.
Il sommelier di birra deve avere una conoscenza approfondita della storia di questo prodotto, della cultura che gli gravita attorno e dei processi produttivi che ne sono alla base, come i segreti della fermentazione. Padroneggia le attività di mescita e spillatura, conosce le possibilità di utilizzo nell’ambito della cucina e della ristorazione, è in grado quindi di creare delle carte della birra e presentare efficacemente le diverse tipologie di prodotto al consumatore finale, guidandolo nella degustazione.
Il servizio della birra è un momento estremamente importante della professione di sommelier, è la fase in cui il professionista entra in contatto diretto con il consumatore e quindi, quello in cui deve dimostrare la propria competenza e guidare il cliente nell’esperienza della degustazione.
Per la migliore degustazione della birra esistono alcune regole di base che devono essere apprese e applicate dal sommelier, se si vuole che la birra si mostri al meglio e faccia così “colpo” sul degustatore. Ecco le quattro regole principali.

Un contenitore adatto
Per una piacevole degustazione della birra e per apprezzarne tutte le caratteristiche si deve utilizzare necessariamente un bicchiere. Non è consigliabile bere direttamente dalla bottiglia, né tantomeno dal solito boccale, non adatto a tutte le qualità, e che ha l’unico vantaggio di avere un pratico manico.
Il bicchiere da birra deve essere rigorosamente di vetro, l’unico in grado di mantenere intatti aromi e profumi e di consentire un buon esame visivo durante la degustazione. Le dimensioni e la forma variano a seconda della tipologia di birra ma in generale il bicchiere deve essere abbastanza capiente da contenere sia la parte liquida che la schiuma. Un bicchiere stretto e slanciato è utile per le birre leggere e per quelle particolarmente frizzanti. Un calice panciuto, come il baloon, è più adatto alla degustazione delle birre corpose, molto alcoliche e con poca schiuma. Il calice a tulipano è particolarmente adatto per le birre aromatiche e molto profumate.

La temperatura giusta
Anche se una bella birra ghiacciata fa gola a tutti, soprattutto in piena estate, servire questo prodotto a una temperatura troppo bassa impedisce di coglierne tutti gli aromi, dal momento che il freddo tende ad anestetizzare le papille gustative. In media, per una migliore degustazione, le temperature di servizio vanno da un minimo di 5° a un massimo di 14°, ma ogni tipo richiede una temperatura specifica che dipende principalmente dal grado di alcool, dalla densità e dalla corposità. Le birre chiare e molto leggere, come le lager, vanno degustate tra i 5 e i 9 gradi; le fruttate tra i 7 e i 9; leggermente più “calde”, intorno ai 10°, le ale e le stout; dai 13° in su quelle più forti e con un maggior livello di alcool.

La spillatura perfetta
Quella della spillatura è una fase delicata che può condizionare il gusto della birra. L’operazione deve essere eseguita con un bicchiere precedentemente sciacquato con acqua fredda, ovviamente pulito e senza tracce di detersivi o brillantanti. Durante la spillatura il bicchiere deve essere inclinato per evitare che si formi troppa schiuma. Quest’ultima, però, deve essere sempre presente e avere un’altezza di circa due dita; inoltre deve sempre mostrarsi compatta poiché deve svolgere una funzione di protezione del liquido rispetto all’ambiente esterno: ne mantiene costante la temperatura e permette che conservi aromi e profumi.
Il segreto di una buona spillatura consiste nel far scorrere per qualche secondo il rubinetto prima di riempire il bicchiere, in questo modo si smaltiscono i residui della birra spillata in precedenza, alterata nella temperatura e nelle caratteristiche dal contatto con l’aria. In base alla tipologia e alla zona di origine, si possono distinguere ben 4 metodi diversi di spillatura: 1) belga-olandese; 2) gaelico-irlandese; 3) alpino-tedesca; 4) anglo-scozzese.

L’esame del prodotto
Per poter assaporare e valutare una birra attraverso la degustazione occorre un esame che tenga conto di tre parametri: l’aspetto, l’odore e il gusto. Per quanto riguarda l’aspetto, gli elementi su cui ci si deve concentrare sono il colore, la limpidezza e la schiuma. Con l’esame olfattivo si riescono a cogliere gli aromi (floreale, fruttato, erbaceo, luppolato, maltato) e a valutarne l’intensità. Infine il gusto, che è il risultato di una serie di fattori, quali: la qualità dell’acqua, il grado di amaro (che dipende dalla quantità e dalla resa del luppolo), l’aroma del luppolo e del malto. Il sapore di una birra si giudicherà, quindi, su una scala che va dall’amarognolo al dolce, passando per l’amaro, l’abboccato e l’amabile.

Vino e crisi. Nuove abitudini, nuove tendenze

Se negli Stati Uniti il consumo di vino è da sempre legato a categorie e ambienti sociali più elevati, in paesi come l’Italia o la Francia il nettare degli dei si presta tradizionalmente a un uso diffuso e quotidiano, indifferentemente dal ceto sociale di appartenenza.
Ma in tempi di crisi tutto cambia, cambiano i consumi, ovviamente, e di conseguenza le abitudini, rendendo necessario un ridimensionamento di tutti i comparti produttivi e di quelli dei servizi. Se negozi e supermercati tentano di adattarsi a questo periodo in cui la cinghia è sempre più tirata e affrontano il calo dei consumi con sconti e offerte, vediamo come viticoltori, ristoranti e enoteche si adeguano ai nuovi standard.
Negli ultimi anni, per far fronte alla diminuzione dei consumi e per venire incontro, per quanto possibile, alle nuove esigenze dei clienti, si è assistito a un graduale ma costante assottigliamento delle carte dei vini. La proposta enologica di ristoranti e locali è andata contraendosi sia dal punto di vista del numero di etichette offerte sia dal punto di vista dei prezzi fissati. In generale la tendenza dei gestori è quella di razionalizzare la cantina, privilegiando vini a minor prezzo e produzioni autoctone e locali. Vini famosi, nomi altisonanti e prezzi importanti lasciano il passo a etichette meno note e costose ma di buona qualità.
Cambia l’offerta ma anche la domanda si modifica e si allinea ai tempi moderni, si innestano così nuove esigenze e abitudini, come dimostra l’aumento della richiesta di bottiglie di piccolo formato, di vino al bicchiere e la moda di portarsi a casa il vino avanzato dalla cena al ristorante. I clienti sono oggi meno propensi a spendere molto e sempre più disposti a rifornirsi presso la grande distribuzione.
La diminuzione delle quantità consumate in parte è da attribuire anche alla legge sul tasso alcolico che, riferiscono gli addetti ai lavori, ha fatto registrare un drastico abbassamento dell’acquisto delle bottiglie a fronte dell’aumento dell’acquisto di calici.

Bisogna però considerare che la trasformazione delle carte dei vini non è legata esclusivamente a volontà di ridimensionamento per motivi economici. In parte dipende anche da cambiamenti culturali e dalle nuove tendenze gastronomiche che stanno prendendo piede nelle cucine, dove diventa sempre più frequente e diffusa l’abitudine di proporre piatti e cibi locali che richiamano a loro volta vini del territorio.
Sono molteplici i fattori a cui si può imputare il cambiamento delle abitudini di acquisto del vino, tanti sono gli elementi che intervengono a modificare quantità, tempi e modi di consumo. Per esempio si deve notare che oggi esiste una maggiore consapevolezza per tutto ciò che riguarda la salute e il benessere psicofisico, ciò ha comportato una riduzione generale delle quantità consumate. Occorre poi osservare che l’identikit del consumatore di vino odierno è molto diverso rispetto a quello di qualche anno fa, un consumatore oggi molto più competente, informato e anche curioso (ne è una prova tangibile il proliferare di corso di degustazione), che mangia e beve in modo responsabile. Da qui derivano i cambiamenti in ambito produttivo, come la tendenza a immettere sul mercato vini sempre meno alcolici, contenenti livelli sempre più bassi di solfiti, che impattano in maniera minore sull’organismo umano.
Una condizione economica non proprio favorevole, per usare un eufemismo, e varie trasformazioni culturali non hanno prodotto, come abbiamo visto, esclusivamente conseguenze e trend negativi. I ristoratori hanno fatto di necessità virtù e l’esigenza di contenere spese e proposte li ha spinti a incrementare l’attività di ricerca e scouting, incentivandoli a guardare anche tra le piccole produzioni con l’obiettivo di trovare prodotti che offrano il miglior rapporto qualità-prezzo. La crisi ha inoltre costretto produttori e commercianti a uno sforzo innovatore che ha influenzato anche aspetti finora gestiti con metodologie classiche e tradizionali come le tecniche di vendita e marketing. Oggi, ad esempio, si registra una grande attenzione all’aspetto più commerciale, con un ripensamento del posizionamento del prodotto vino sul mercato e nuovi studi su confezioni e packaging accattivanti. Si comincia a considerare l’idea di proporre il prodotto enologico in modo diverso, più divertente, sulla base del fatto che sta cambiando il target dei consumatori finali. In questa ottica si deve considerare l’affermarsi di nuove tendenze come quella di degustare il Lambrusco come aperitivo, o il fatto che alcuni vini come il Raboso del Piave vengano utilizzati come base per alcuni cocktail. Mode, queste, che potrebbero portare a un avvicinamento al vino delle nuove generazioni che invece tradizionalmente prediligono l’assunzione di superalcolici.
Un altro elemento interessante da considerare è l’andamento dell’eno-turismo, in costante aumento nell’ultimo decennio, dunque nettamente in controtendenza rispetto alla riduzione dei consumi. Un business dalle potenzialità enormi ma non ancora sfruttate a pieno, che potrebbe fare da traino e leva per altri comparti del turismo, poiché incentiva la riscoperta e la valorizzazione della cucina tipica tradizionale e delle aree rurali della nostra penisola.
Anche dal punto di vista della formazione il vino continua a essere grande protagonista: corsi di avvicinamento al vino sempre più numerosi e di successo, corsi intensivi, super professionalizzanti, accademie, master… sono infinite le formule che oggi vengono proposte a chiunque voglia saperne di più o voglia costruire sul vino una solida carriera professionale.
Quello del vino e del cibo in generale, quando sono buoni e di qualità, può essere considerato senza dubbio un settore strategico per la nostra economia. È proprio sulla valorizzazione delle nostre eccellenze eno-gastronomiche che si dovrebbe puntare per un rilancio economico del paese. La formazione di nuove figure professionali capaci di mettere a punto nuovi brand, nuovi tipi di servizi e strategie, coniugando la secolare conoscenza italiana nel campo eno-gastronomico con le più attuali competenze manageriali, potrebbe far decollare il settore facendone esprimere le straordinarie potenzialità.

6 trucchi per un aperitivo perfetto

L’aperitivo, ormai già da qualche anno, è entrato a far parte delle abitudini quotidiane di una buona parte della popolazione italiana. Un vero e proprio rito sociale che si celebra alla fine di svariate ore di lavoro, per concludere in modo rilassato e in buona compagnia la parte più stressante della giornata.
Dalle grandi città del nord, Milano in testa, l’happy hour ha colonizzato tutta la penisola conquistando soprattutto un pubblico giovane, nella maggior parte dei casi mondano e modaiolo, che poco prima dell’ora di cena si ritrova attorno a un tavolino, con un bicchiere da sorseggiare e stuzzichini da sgranocchiare.
L’aperitivo è diventato così un’occasione ghiotta per bar, enoteche e locali di vario genere che, con una spesa contenuta, riescono ad attrarre frotte di ragazzi e uomini di affari, cavandosela offrendo drink e assaggini. Non c’è bisogno di aggiungere che le casse ne traggono grossi benefici, così come le tasche dei clienti, i quali con una decina di euro al massimo bevono e mangiano, al punto di poter fare tranquillamente a meno della cena.
Le formule in cui declinare l’aperitivo sono infinite, ogni bar decide quantità e qualità di drink e cibi da servire. Se si è fortunati, si avrà a disposizione un ricco e vario buffet presso cui rifornirsi a volontà, ma se la fortuna non assiste e non si azzecca il posto giusto, ci si vedrà rifilare poco più di noccioline rancide e patatine ammosciate. La disorganizzazione e la mancanza di inventiva da parte dei gestori possono procurare danni ingenti e mandare in fumo un’ottima occasione di guadagno e fidelizzazione del cliente.
Vediamo allora come preparare, in poche e semplici mosse, un aperitivo che sia all’altezza delle esigenze dei clienti e capace di sbaragliare la concorrenza.

Sfruttare lo spazio esterno
Se si ha la fortuna di avere a disposizione uno spazio esterno, è opportuno sfruttarlo il più possibile per il momento dell’aperitivo, soprattutto con l’arrivo della bella stagione, momento in cui tutti hanno più voglia di uscire e passare qualche ora fuori casa. La cosa migliore sarebbe allestire una piccola veranda (magari delimitandola con bei vasi e piante) con tavolini e sedie, di design o comunque piacevoli esteticamente e in armonia con il contesto urbano.

Curare l’organizzazione
A prescindere dal fatto che si abbia un minuscolo bar o un locale di 100mq, l’organizzazione e la gestione degli spazi è sempre fondamentale. Ciò a cui bisogna fare attenzione quando si prepara un buffet, soprattutto nell’orario (affollato) dell’aperitivo, è che questo venga posizionato in un punto facilmente accessibile ai clienti. Se si tratta di un servizio self-service occorre evitare in ogni modo che si creino ingorghi o file; tutto il necessario, come posate e tovaglioli, deve essere ben posizionato. Mirare sempre alla funzionalità e alla praticità del servizio.

Anche l’occhio vuole la sua parte
È una massima che vale in ogni circostanza e soprattutto in ambito cibo, dove la presentazione diventa determinante e cambia la percezione del cibo stesso. Soprattutto nel servizio self-service la disposizione di piatti e stuzzichini è particolarmente importante, dovrà essere ordinata ma anche esteticamente efficace per invitare a consumare. Bisogna fare attenzione anche al colore e al tipo di piatti e vassoi, che vanno scelti in base al contenuto. Per dare un’aria più chic e gourmet al vostro aperitivo potete servire gli assaggini all’interno di bicchieri o in mini porzioni servite in un cucchiaio.

Stabilire un prezzo ragionevole
Il prezzo dell’aperitivo varia in base a diversi parametri, non ultimi la città e la posizione del locale che offre il servizio. Anche la qualità e la quantità delle bevande e dei cibi offerti incide molto sul costo finale, ma in media, i prezzi di un happy hour standard vanno dai 5 ai 12 euro. Sarebbe opportuno tenersi entro questo range proprio per mantenere la consumazione economicamente appetibile per un pubblico vasto, anche in considerazione del fatto che i maggiori appassionati di aperitivo sono ragazzi che, generalmente, hanno una minore disponibilità economica.

Curare l’offerta gastronomica
Se si riesce ad accompagnare al prezzo contenuto una proposta in fatto di cibo soddisfacente e varia, il successo è assicurato e la maggior parte dei clienti sarà ben disposta a tornare nello stesso posto. A patto, però, che si faccia uno sforzo di originalità e non si dia l’impressione di rifilare gli avanzi del pranzo. Gli stuzzichini non devono mancare, ma si possono evitare le solite noccioline e le patatine in busta, da sostituire con qualche tartina di baguette dal gusto insolito, chips fatte in casa, fritte o nella versione light al forno, o magari crudité, accompagnate, ad esempio, da una salsa allo yogurt. Se si vuole (e se si può) osare, è possibile inserire nel buffet anche ostriche e altri frutti di mare.
Tra i piatti freddi, bandire le solite insalate di pasta e mettere al loro posto couscous, farro con verdure o orzotti. Si può optare anche per insalate sfiziose con l’aggiunta di frutta e assaggi di formaggi con marmellate. Per i piatti caldi, si può proporre un primo, delle crocchette e sformatini di verdura monoporzione.
Infine, tenere sempre conto delle “minoranze”, sempre più diffuse, occhio quindi a celiaci, vegetariani e persone a dieta.

Ampliare l’offerta dei drink
Il momento dell’happy hour va considerato importante come quello del dopocena, quindi l’impegno e l’offerta dei drink devono restare a un certo standard. Un buon aperitivo non può limitarsi a Mojito e Spritz, deve prevedere una selezione di cocktail alcolici e analcolici, di prosecchi e vini, possibilmente frizzanti e freschi, più adatti al contesto. Si può anche tentare di stimolare i clienti con proposte nuove, come vini della zona e birre artigianali.