Ma cosa c'è esattamente nel Pokè bowl?

Pokè bowl, come siamo passati dal sushi alla cucina hawaiana

In principio era il sushi che ha fatto il suo avvento in Italia diversi anni fa e, nel giro di pochissimo tempo, è diventato uno dei piatti preferiti degli italiani spodestando anche sua Maestà la Pizza.

Ma le mode sono destinate a cambiare e le tendenze reggono fino a quando non arriva un novità a prendere il loro posto.
Stando ad alcune ricerche al primo posto nella classifica dei piatti preferiti dagli italiani non ci sarebbe più il sushi ma il Pokè bowl.

Pokè bowl: cos’è e da dove viene
Probabilmente molte persone ancora non sanno di cosa stiamo parlando ed erano rimasti alla cucina giapponese, ma negli ultimi mesi in tutto il mondo e anche in Italia sta spopolando la cucina hawaiana.
Le similitudini con quella orientale riguardano solo alcuni ingredienti, come il pesce crudo, ma i Pokè bowl è completamente diverso dal sushi e dalla geometria dei piatti nipponici.

In effetti, la pietanza hawaiana che sta riscuotendo così tanto successo non ha nulla di geometrico e anzi potrebbe essere definita la versione scomposta del sushi.

Il piatto prevede la presenza di ingredienti tagliati a cubetti, dal pesce all’avocado. Il tutto è molto grossolano e i pezzi non sono tutti uguali tra loro, si tratta di una tradizione povera che bada poco alla forma e molto la sostanza.

Ma cosa c’è esattamente nel Pokè bowl?

Uno degli ingredienti indispensabili è il pesce, rigorosamente fresco – alle Hawaii è un alimento accessibile a tutti – riso oppure quinoa, mais e verdure, il tutto marinato con delizioso mix di spezie e aromi che donano al piatto un sapore unico ed inconfondibile.
Trattandosi di un pasto completo, nel Pokè bowl non manca mai la frutta, di chiara origine esotica, come l’avocado o il mango.

Ovviamente non mancano le spezie più comuni come sale e pepe, anche l’aceto è quasi sempre presente e dona un tocco acre e piacevole al piatto, contrastando la dolcezza del mais e della frutta.
La contaminazione era inevitabile, così agli ingredienti tradizionali se ne sono aggiunti altri decisamente più comuni e conosciuti come i peperoni e i pomodori, i ravanelli e il sedano, il coriandolo, le noci, i semi di papavero e lo zenzero.

I paesi anglofoni come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono già pazzi del Pokè bowl al punto da aver spodestato il sushi nella classifica dei piatti esotici preferiti.
In Italia è già presente, nelle grandi aree metropolitane, è già possibile trovare ristoranti hawaiani affollati, ma nel nostro paese le contaminazioni mediterranee che modificano il piatto originario sono molto più forti che nel resto del mondo.

A Milano sono diversi i locali dove è possibile assaggiare il Pokè bowl, tra tutti spicca il Botanical Club di via Tortona dove le versioni più gettonate sono quelle a base di cubetti di tonno, salmone oppure polpo.
Nella capitale, invece, uno dei ristoranti hawaiani più in voga, l’Ami Pokè a rione Monti, offre la possibilità ai clienti di comporre il piatto come meglio credono.

A Genova, in piazza Caricamento, c’è un locale che propone ben sei versioni differenti del Pokè bowl di cui una vegetariana, ponendosi come obbiettivo quello di soddisfare i gusti di tutti e di coccolare i clienti, per questo motivo a breve sarà disponibile anche il servizio di consegna a domicilio.

organizzare i turni di lavoro in un ristorante

Come organizzare i turni di lavoro in un ristorante

L’organizzazione del lavoro in un ristorante, così, come ogni altro ambito lavorativo, necessita di una efficace strategia di gestione del personale. E’ da tali strategie che dipende l’efficienza del personale e la qualità finale del servizio.
Nello specifico ambito della ristorazione, entra anche in gioco il fattore “turni“: cioè, il personale è organizzato per turni onde evitare sovraccarichi di lavoro e quindi la potenziale riduzione della qualità del servizio reso. In questo senso bisogna prendere come linea guida il CCNL che disciplina il lavoro per turni, domeniche e festivi, recuperi, e pause. Ogni variazione di turno deve essere documenta per calcolare le ore complessive effettuate.
E’ responsabilità del Direttore, Manager, Gestore, o chi per lui, la gestione degli orari di lavoro, anche prevedendo assenze impreviste del personale.
Tale organizzazione dipende anche dalla tipologia di locale.
Se si parla di grandi hotel, ristoranti di lusso o comunque location di prestigio, in cui il personale è decisamente più numeroso, esiste uno specifico ufficio addetto alla gestione del personale. L’Ufficio del Personale può avvalersi di specifici software che elaborano le turnazioni; a tal fine è spesso richiesto il contributo di un addetto specializzato in organizzazione e gestione del personale.
In questa prima tipologia di locale saranno presenti alcune necessarie gerarchie: chef, cuochi, garzoni e lavapiatti (lo chef può non coincidere necessariamente con i proprietario del locale); responsabile di sala, camerieri, addetti ai tavoli.
Nei locali più piccoli o di minor prestigio, fast food, pizzerie, bar, self service, se il rispetto della normativa e l’etica professionale del gestore sono inoppugnabili, vale quanto detto per le altre tipologie di locali. Purtroppo, spesso, proprio essendo locali meno in vista e talvolta anche meno soggetti ai controlli ufficiali, le cose non vanno sempre così.

A volte non c’è una vera e propria gestione del personale, non c’è sempre una chiara distinzione dei ruoli e non sempre i turni di lavoro vengono rispettati, purtroppo, anche contrariamente a quanto previsto dai contratti di lavoro. Il lavoratore si trova a svolgere più ore del previsto o ad assumere incarichi che non gli competono, improvvisandosi in attività nelle quali non ha alcuna esperienza. Si tratta certamente di situazioni limite che non sempre emergono. Ovviamente ne risente la qualità complessiva del servizio e non è un caso che questo tipo di locali tenda a chiudere nell’arco di 5 anni, come asseriscono le statistiche attuali.

Il cliente percepisce la confusione che deriva da una mancanza di organizzazione che si evidenzia da un personale non soddisfatto, che tende a lavorare in maniera più nervosa e più svogliata. Per fortuna parliamo di “piccole” cifre: delle oltre 650.000 persone l’anno che lavorano nella ristorazione, solo circa 100.000 si trovano a lavorare in effettivi contesti di disagio. Eppure gli strumenti per rendere la gestione dei turni nella ristorazione sono previsti proprio dalla legislatura vigente: part-time verticali e orizzontali, voucher formativi che garantirebbero la necessaria fluidità e flessibilità dei necessari turni con il risultato finale di un servizio efficiente e soddisfacente sia per i lavoratori che per i clienti, la cui soddisfazione, non bisogna dimenticarlo, deve sempre essere l’obiettivo finale.

La carta dei dessert: i vantaggi di finire in dolcezza

Per molte persone, soprattutto per le più golose, quello del dessert è il momento più atteso di tutto il pranzo o la cena. Gustare un buon dolce alla fine del pasto è il modo migliore per concludere un’esperienza gastronomicamente intensa e piacevole.

Non sempre, però, i ristoratori dedicano grande attenzione alla carta dei dolci, al contrario spesso la scelta è risibile e l’assortimento banale; non raramente ci si limita ad offrire prodotti dozzinali acquistati e non preparati in loco.
A volte sono le condizioni pratiche a imporre questo comportamento, l’organizzazione interna e le possibilità economiche di un ristorante possono vincolare molte scelte: la maggior parte dei ristoranti di medio livello ha nel suo organico un unico chef e un aiuto cuoco, molto raramente si ha a disposizione un pasticciere interno. D’altronde si sa, la pasticceria è un’arte a sé, e un grande chef non è automaticamente anche un bravo pasticciere.
Questa sottovalutazione andrebbe, in ogni caso, rivista e corretta, dal momento che i dolci possono diventare un elemento chiave nell’economia di un ristorante. Questi, infatti, sono in grado di apportare almeno tre vantaggi non da poco: possono far aumentare la spesa media di ogni cliente e quindi far alzare il fatturato generale; hanno la funzione di fidelizzare gli ospiti: un buon dessert a conclusione del pasto può congedare il cliente prolungando o intensificando l’impressione positiva; i dessert permettono di mettere in risalto l’abilità dello chef-pasticciere offrendogli l’occasione di avanzare proposte nuove e originali, dando così modo al ristorante di distinguersi dai competitor e di affermare la propria personalità.

Ecco qui qualche consiglio pratico per costruire e gestire al meglio una carta dei dolci completa e invitante.
> Puntate alla coerenza
Il dessert rappresenta la fine di un percorso del gusto e, in quanto tale, deve inserirsi in modo coerente in questo tracciato.
La carta dei dolci deve essere elaborata contemporaneamente al menu principale, in modo da scegliere i dessert che meglio si sposano con i sapori e la consistenza delle portate precedenti.
I dolci devono rispecchiare lo stile dello chef, e del ristorante in generale, e contribuire a dare una visione d’insieme organica e coerente. Se, ad esempio, avete impostato tutto il vostro menu su piatti tipici della tradizione regionale italiana, concludere con trionfi di frutta tropicale o con dolcetti berberi non sarà proprio l’ideale.
> Studiate un assortimento vario ma non eccessivamente ampio
Molte statistiche dimostrano che la maggior parte dei clienti tende a scegliere al ristorante sempre gli stessi dessert, quelli più classici e tradizionali. Questo però non vi autorizza ad avere sulla carta solo il solito tiramisù!
La soluzione migliore è quella di studiare un menu dei dolci che preveda un numero contenuto di tipologie ma scelte con cura, che tenga conto dei gusti della vostra clientela, ma che inserisca anche qualcosa di nuovo che possa incuriosire e spingere all’acquisto anche chi normalmente non ordina il dessert.
Partite con alcuni grandi classici, da tenere fissi, e scegliete qualche altro tipo di dessert in base alla tendenza e alla stagione, cambiandoli periodicamente, a rotazione.
In linea di massima una carta decorosa non dovrebbe avere meno di cinque dolci. Per variare e per andare incontro a gusti diversi, tali proposte andrebbero differenziate per tipologia: un paio di dessert dovrebbero essere a base di cioccolato, ingrediente intramontabile che mette d’accordo tutti; altri due a base di frutta, che richiama principalmente il pubblico femminile, più attento alla forma fisica (anche i sorbetti vanno bene, possono attirare una certa clientela proprio per la loro leggerezza); infine inserite un dessert tipico della zona o una specialità del vostro ristorante.
> Inserite qualche dolce fatto in casa
I dolci fatti in casa hanno un fascino senza tempo per l’idea di genuinità, di semplicità, di “cucina della nonna” che trasmettono. Inoltre è giusto e doveroso coccolare i clienti con qualche proposta pensata e realizzata dallo chef e non offrire sempre dolci preconfezionati o semilavorati che ci si limita a guarnire prima di essere serviti. Giocatevi bene questa carta, raccontate la storia di questi dolci fatti in casa, da dove vengono, che tradizione hanno, e descrivetene la preparazione come fareste consigliando la ricetta ad un parente o amico.
> Non dimenticate mai la frutta
Dedicate una parte della carta ad un piccolo assortimento di frutta, il consumo di questo alimento, infatti, è sempre più frequente anche al ristorante. Scegliete frutta di stagione, cambiatela a rotazione, offrite tagliate, coppette o macedonie di frutti colorati, il vostro menu guadagnerà in leggerezza e freschezza.
> Create una vera e propria carta dei dolci che sia indipendente dal menu
Presentare un documento nuovo a fine pasto, attira molto l’attenzione e può spinge all’acquisto anche chi inizialmente non aveva intenzione di ordinare il dolce.
Avere una carta specifica per i dessert, inoltre, rappresenta per voi un vantaggio pratico dal momento che vi permette di avere più spazio nel menu principale per descrivere e promuovere i vostri piatti.
> Create un menu chiaro e ben organizzato
Per mettere in risalto e in evidenza i dolci, progettate un menu che sia efficace graficamente e ben leggibile. Classificate i dessert in base alla tipologia, magari lasciando uno spazio apposito per le proposte per i più piccoli. Raccontateli e descriveteli. Sponsorizzatene alcuni, su cui vi sentite più sicuri, con qualche formula che attiri l’attenzione, come ad esempio “consigliato da noi” oppure “la specialità dello chef” etc.

Vino e crisi. Nuove abitudini, nuove tendenze

Se negli Stati Uniti il consumo di vino è da sempre legato a categorie e ambienti sociali più elevati, in paesi come l’Italia o la Francia il nettare degli dei si presta tradizionalmente a un uso diffuso e quotidiano, indifferentemente dal ceto sociale di appartenenza.
Ma in tempi di crisi tutto cambia, cambiano i consumi, ovviamente, e di conseguenza le abitudini, rendendo necessario un ridimensionamento di tutti i comparti produttivi e di quelli dei servizi. Se negozi e supermercati tentano di adattarsi a questo periodo in cui la cinghia è sempre più tirata e affrontano il calo dei consumi con sconti e offerte, vediamo come viticoltori, ristoranti e enoteche si adeguano ai nuovi standard.
Negli ultimi anni, per far fronte alla diminuzione dei consumi e per venire incontro, per quanto possibile, alle nuove esigenze dei clienti, si è assistito a un graduale ma costante assottigliamento delle carte dei vini. La proposta enologica di ristoranti e locali è andata contraendosi sia dal punto di vista del numero di etichette offerte sia dal punto di vista dei prezzi fissati. In generale la tendenza dei gestori è quella di razionalizzare la cantina, privilegiando vini a minor prezzo e produzioni autoctone e locali. Vini famosi, nomi altisonanti e prezzi importanti lasciano il passo a etichette meno note e costose ma di buona qualità.
Cambia l’offerta ma anche la domanda si modifica e si allinea ai tempi moderni, si innestano così nuove esigenze e abitudini, come dimostra l’aumento della richiesta di bottiglie di piccolo formato, di vino al bicchiere e la moda di portarsi a casa il vino avanzato dalla cena al ristorante. I clienti sono oggi meno propensi a spendere molto e sempre più disposti a rifornirsi presso la grande distribuzione.
La diminuzione delle quantità consumate in parte è da attribuire anche alla legge sul tasso alcolico che, riferiscono gli addetti ai lavori, ha fatto registrare un drastico abbassamento dell’acquisto delle bottiglie a fronte dell’aumento dell’acquisto di calici.

Bisogna però considerare che la trasformazione delle carte dei vini non è legata esclusivamente a volontà di ridimensionamento per motivi economici. In parte dipende anche da cambiamenti culturali e dalle nuove tendenze gastronomiche che stanno prendendo piede nelle cucine, dove diventa sempre più frequente e diffusa l’abitudine di proporre piatti e cibi locali che richiamano a loro volta vini del territorio.
Sono molteplici i fattori a cui si può imputare il cambiamento delle abitudini di acquisto del vino, tanti sono gli elementi che intervengono a modificare quantità, tempi e modi di consumo. Per esempio si deve notare che oggi esiste una maggiore consapevolezza per tutto ciò che riguarda la salute e il benessere psicofisico, ciò ha comportato una riduzione generale delle quantità consumate. Occorre poi osservare che l’identikit del consumatore di vino odierno è molto diverso rispetto a quello di qualche anno fa, un consumatore oggi molto più competente, informato e anche curioso (ne è una prova tangibile il proliferare di corso di degustazione), che mangia e beve in modo responsabile. Da qui derivano i cambiamenti in ambito produttivo, come la tendenza a immettere sul mercato vini sempre meno alcolici, contenenti livelli sempre più bassi di solfiti, che impattano in maniera minore sull’organismo umano.
Una condizione economica non proprio favorevole, per usare un eufemismo, e varie trasformazioni culturali non hanno prodotto, come abbiamo visto, esclusivamente conseguenze e trend negativi. I ristoratori hanno fatto di necessità virtù e l’esigenza di contenere spese e proposte li ha spinti a incrementare l’attività di ricerca e scouting, incentivandoli a guardare anche tra le piccole produzioni con l’obiettivo di trovare prodotti che offrano il miglior rapporto qualità-prezzo. La crisi ha inoltre costretto produttori e commercianti a uno sforzo innovatore che ha influenzato anche aspetti finora gestiti con metodologie classiche e tradizionali come le tecniche di vendita e marketing. Oggi, ad esempio, si registra una grande attenzione all’aspetto più commerciale, con un ripensamento del posizionamento del prodotto vino sul mercato e nuovi studi su confezioni e packaging accattivanti. Si comincia a considerare l’idea di proporre il prodotto enologico in modo diverso, più divertente, sulla base del fatto che sta cambiando il target dei consumatori finali. In questa ottica si deve considerare l’affermarsi di nuove tendenze come quella di degustare il Lambrusco come aperitivo, o il fatto che alcuni vini come il Raboso del Piave vengano utilizzati come base per alcuni cocktail. Mode, queste, che potrebbero portare a un avvicinamento al vino delle nuove generazioni che invece tradizionalmente prediligono l’assunzione di superalcolici.
Un altro elemento interessante da considerare è l’andamento dell’eno-turismo, in costante aumento nell’ultimo decennio, dunque nettamente in controtendenza rispetto alla riduzione dei consumi. Un business dalle potenzialità enormi ma non ancora sfruttate a pieno, che potrebbe fare da traino e leva per altri comparti del turismo, poiché incentiva la riscoperta e la valorizzazione della cucina tipica tradizionale e delle aree rurali della nostra penisola.
Anche dal punto di vista della formazione il vino continua a essere grande protagonista: corsi di avvicinamento al vino sempre più numerosi e di successo, corsi intensivi, super professionalizzanti, accademie, master… sono infinite le formule che oggi vengono proposte a chiunque voglia saperne di più o voglia costruire sul vino una solida carriera professionale.
Quello del vino e del cibo in generale, quando sono buoni e di qualità, può essere considerato senza dubbio un settore strategico per la nostra economia. È proprio sulla valorizzazione delle nostre eccellenze eno-gastronomiche che si dovrebbe puntare per un rilancio economico del paese. La formazione di nuove figure professionali capaci di mettere a punto nuovi brand, nuovi tipi di servizi e strategie, coniugando la secolare conoscenza italiana nel campo eno-gastronomico con le più attuali competenze manageriali, potrebbe far decollare il settore facendone esprimere le straordinarie potenzialità.